James Bond e Artù nella sartoria dei “Kingsman”

«Questo non è quel tipo di film»… Quelli con il cattivo affascinante quanto il protagonista, «quei bei film di spionaggio di una volta», con la stanza delle armi, l’addestramento e l’agente che beve il Martini più secco sulla faccia della terra... Matthew Vaughn lo fa ripetere ai suoi personaggi, lo scrive a chiare lettere in ogni scena di Kingsman: secret service: questo non è un normale film di spie, anche se è un omaggio “irregolare” e dichiarato a 007 e a tutto il cinema di genere. Cosa succede però se James Bond incontra il mondo dei fumetti, se si mischia l’agente John Steed della serie The avengers con i comics, la tavola rotonda di Re Artù, i videogame “sparatutto” e una quantità praticamente infinita di citazioni cinematografiche di ogni tipo?

Si entra nella sartoria dei Kingsman appunto, copertura impeccabile di un corpo selezionato di agenti segreti nascosti in un altrettanto impeccabile abito fatto su misura. Basato sull’omonimo fumetto di Mark Millar, il film diretto da Vaughn è un concentrato di azione, divertimento, battute scorrette e personaggi improbabili, costruiti con il solo scopo di entrare a far parte di un grande gioco chiassoso e ad alto tasso “cinefilo” (la presenza di Mark Hamill in un ruolo-cameo è solo una delle tante tracce lasciate sul terreno).

Vaughn è esplicito, quasi spudorato mentre mette in serie passioni e miti personali, mentre rifà scene cult trasformate sullo schermo al servizio di un’avventura che non vuol essere come «quei bei film di spionaggio di una volta». Anche se non c’è agente più classico di Harry Hart-Colin Firth (nome in codice Galahad) che dovrà prendersi cura e addestrare il giovane Eggsy per un debito di riconoscenza con il suo genitore morto per salvargli la vita. Classico lo spunto e anche l’iniziale svolgimento, ma solo in apparenza: Vaughn gioca e si prende gioco di molta letteratura di genere, anche della stessa che ha praticato come regista lui stesso (ha diretto successi come Kick-Ass e X-Men. L’inizio). Disegna un’avventura che ha uno schema riconoscibile (la scoperta dell’outsider, il suo addestramento, l’ingresso in scena del cattivo con il suo strapotere tecnologico) ma presto mette la sua impronta che avrebbe fatto inorridire “l’agente segreto al servizio di sua maestà”. Personaggi poco politically correct, milionari ambientalisti delusi che mangiano cibo fast food e progettano di distruggere la terra, una squadra di agenti-gentleman senza padrone che siedono attorno a una tavola guidati da sir Arthur-Michael Caine. I colori sono quelli del fumetto, le pistole fanno “bang” come il rumore dei pugni che colpiscono come sulla carta, anche se non mancano il sangue e le scene quasi “splatter”, quando i piani (quello criminale del cattivo Richard Valentine-Samuel L. Jackson e quello del regista) arriveranno a compimento. Ma a Vaughn piace sorprendere e allora, come se non ce ne fosse già abbastanza, c’è spazio anche per un omaggio a Stephen King, una citazione di My fair lady , un po’ di Tarantino e di Top Secret tra una sparatoria e l’altra, in un crescendo che porta verso un finale in cui esplodono teste come fuochi d’artificio, come i funghi atomici del Dottor Stranamore. Ma quella era tutta un’altra storia.

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