«Io in politica? preferisco raccontarla»

George Clooney presenta al Lido “Le idi di marzo”

«Io in politica? No grazie, non ci penso nemmeno. Faccio un altro mestiere, più facile. Sono contento di fare l’attore e il regista e che dalle mie decisioni non dipenda la vita di altre persone».

George Clooney è rilassato, disponibile come sempre. In fondo in Italia, e al Festival di Venezia, si sente un po’ di giocare “in casa”: in più questa volta è qui per accompagnare un film solido e bello come Le idi di marzo, presentato in apertura e in concorso alla 68esima edizione della Mostra del cinema e subito serio candidato alla vittoria finale della kermesse. «Il titolo Shakespeariano? I temi del film potrebbero appartenere a un testo di Shakespeare: i personaggi sono come Bruto, come Cesare, sta al pubblico poi decidere chi è chi, associare gli attori, i loro nomi a quei riferimenti classici». Il film, diciamolo subito molto bello, scritto in maniera straordinaria e interpretato anche meglio, racconta della campagna elettorale di un candidato democratico alle primarie americane: a tratti prende ritmi del thriller politico, resta in bilico tra attualità e fantasia, mostrando gli inganni e i compromessi della politica. «Ma il mio è soprattutto un film sulla moralità, su persone che sono disposte a vendere la propria anima per una ragione di convenienza. È ambientato nel mondo politico ma poteva svolgersi nella finanza, tra i broker di Wall Street. Ed è un film molto personale, certo: lo è sempre un’opera a cui hai dedicato 4 o 5 anni della tua vita”.

Ma le ha pensato mai di poter entrare seriamente in politica?

«No, assolutamente. Non è il mio mestiere: io faccio l’attore e il regista e sono felice di poterlo fare come in questa occasione nelle migliori condizioni possibili. Nel mio lavoro non prendo decisioni da cui dipendono le vite di altre persone, e sono contento che sia così. Nel mio film i personaggi sono costretti a scendere a compromessi, a “vendersi” per convenienza: io scendo tutti i giorni a compromessi, decido se girare una scena o no a seconda che ci siano i soldi o ci sia la luce giusta o le nuvole, i compromessi dell’attore non modificano la vita altrui. Il mio è un gioco e sono contento che sia così».

La sua sembra una storia molto americana, con «aratteri e un ambienti ben riconoscibili.

«Volevamo una storia sulla morale, che fosse “leggibile” ovunque, che non fosse solo americana. Abbiamo trovato questa piece teatrale (di Beau Willimon, che ha firmato la sceneggiatura con lo stesso Clooney e con Grant Heslov, ndr) bellissima, con dei personaggi straordinari, e abbiamo subito pensato che fosse quella giusta. Il mondo della politica oggi sembra dominato dal cinismo, che pare aver preso definitivamente il sopravvento sull’idealismo. Ma io penso e spero che le cose in futuro possano cambiare».

L’attualità sembra molto vicina… consiglierebbe a Dominic Strass Khan di andarlo a vedere?

«Non mi permetto di fare commenti o di dare consigli su vicende personali. Certo lavorando a questo progetto ci siamo resi conti di come tutti i Paesi siano alle prese con scandali a sfondo sessuale, ma non potrei mai dare un parere o esprimermi su casi così privati.

Insomma scandali e sopraffazione, cinismo e assenza di regole. E tradimenti: proprio come in un testo di Shakespeare… Il mondo non cambia, non si è migliorato. Queste cose esistono dai tempi di Giulio Cesare, è vero. Quando abbiamo iniziato a lavorare alla sceneggiatura erano i mesi dell’elezione a presidente di Baraci Obama e abbiamo pensato che non fosse il momento giusto per affrontare questi argomenti. Abbiamo aspettato e poi ripreso in mano il progetto in un momento che ci è sembrato più adatto. La mia educazione al cinema viene dagli anni Settanta, da autori che facevano film di impegno, civili. Opere che si ponevano delle domande e sollevavano questioni importanti. Ecco il mio obiettivo è lo stesso: io voglio che i miei film facciano domande più che fornire risposte. E ora, a mio parere, è tornata un’epoca in cui è diventato ancora importante porre questi interrogativi e portarli agli occhi di più persone possibile».

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