Il “volo” di Soldini sui mali dell’Italia

È ancora più triste e malandato il nostro Paese visto dall’alto. La volgarità ha preso il posto della poesia, il compromesso e il raggiro hanno sostituito il sogno della buona politica, anche le battaglie ideali sono andate perdute. Per non parlare di quelle nobili della cultura. Silvio Soldini vola sopra le nostre teste, come una cicogna o come una statua immobile che dall’angolo della strada assiste allo sfascio dell’Italia. Garibaldi e Leopardi dialogano a distanza sui nostri mali contemporanei e non provano la fuga solo perché bloccati da un piedistallo: il regista affida alla loro voce il suo apologo morale che, un po’ favola un po’ commedia, racconta il disastro del nostro Paese, finito nelle mani di barbari senza ideali che non siano quelli del profitto e del successo raggiunto attraverso la furbizia.

Procede così Il comandante e la cicogna, alternando il registro surreale alla cronaca, e questo gli permette d’essere ancora più chiaro nella sua invettiva contro la volgarità e il malaffare. Avvocati intrallazzatori con il parrucchino, onesti lavoratori costretti al compromesso, fragili artisti che sbattono il naso contro le brutture quotidiane, ragazzi in balia dei pericoli della Rete. E in più la figura di un moralizzatore urbano che serve da contrappunto con le sue citazioni colte a sottolineare il disagio che tutti dovremmo provare davanti a questa Italia, se non fossimo come narcotizzati. Un idraulico vedovo che deve crescere i due figli adolescenti tra mille difficoltà, una pittrice sognatrice e naif che combatte con l’affitto da pagare, l’azzeccagarbugli che specula sulle

difficoltà altrui: i protagonisti sono come gli animali mostruosi o spaesati che nel film compongono l’affresco che prende forma nello studio dell’avvocato. C’è l’onesto Leo (Valerio Mastandrea con i baffoni e l’accento campano) che ci prova ma non sempre ci riesce, la spaesata Diana (Alba Rohrwacher) che non ha il cinismo giusto per affrontare la giungla, dove invece vive e sguazza l’avvocato Malaffano (Luca Zingaretti con capigliatura posticcia) che commissiona un murales per il suo studio, in cui lui deve comparire come una sorta di Tarzan brandendo anche una bandiera del Milan (!).

Le statue (e il regista) li guardano dall’alto, alle prese con le loro debolezze, i vizi e le disonestà: sono gli abitanti di un paese ridotto a foresta dove vince la legge del più forte e dove poesia e volgarità si scontrano, l’arte è diventata brutta copia, l’onestà un’eccezione. Non ci sono quasi buoni o cattivi nel mondo de Il comandante e la cicogna, ognuno scoperto con le proprie meschinità, che Soldini racconta con il tono sospeso della favola e con l’intento di dire le più amare verità, “nascondendole” dietro al registro surreale e anche divertito. Si vede che lui stesso medita la fuga che non può riuscire per ovvie ragioni alle sue statue, ma non si rassegna e alla fine compie, con l’aiuto dei piccioni, la sua “vendetta” personale sul monumento del Cazzaniga decollato. Anche se non basta a cancellare le paure dello spettatore che resta con il timore di potersi davvero trovare un giorno all’angolo della strada un monumento alle bassezze d’Italia.

È ancora più triste e malandato il nostro Paese visto dall’alto. Silvio Soldini vola sopra le nostre teste, come una cicogna o come una statua immobile che dall’angolo della strada assiste allo sfascio dell’Italia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA