Il sogno di Petit “in bilico” tra le Torri Gemelle

In bilico su un filo, sempre più vicino al cielo che alla terra. «Paura di morire? Questa è la vita, altro che la morte». Il sogno folle di Philippe Petit prende forma, a quattrocento metri d’altezza, su un cavo d’acciaio tirato tra le Torri Gemelle, nel cuore di New York. E nelle immagini di Robert Zemeckis che racconta in The Walk la straordinaria impresa del funambolo francese, che il 7 agosto del 1974 facendosi beffe della legge di gravità e di ogni regolamento terreno e amministrativo, “camminò” letteralmente tra i grattacieli del World Trade Center a Manhattan.

È un film su un sogno folle e meraviglioso, il racconto dell’impresa di colui che andò a “toccare le nuvole” sfidando ogni regola di buonsenso con un gesto anarchico e rivoluzionario, passato alla storia. Un sogno che a tratti si trasforma in ossessione, il desiderio bruciante di un uomo trattato come un saltimbanco che in realtà è sempre stato un artista, sin dalla prima volta che ha tirato il suo filo nelle strade di Parigi per camminarci sopra. Sotto il tendone di un circo o in un parco pubblico, perennemente sospeso nel vuoto, in lotta contro la gravità e le convenzioni, Petit cammina sul filo per stupire e lasciare senza fiato il pubblico, costretto a tremare per lui con lo sguardo rivolto all’insù, ma in realtà cerca solo di placare la sua “febbre” e di sentirsi vivo nell’unica maniera che conosce. Per questo accetta di lanciare a se stesso la sfida più grande possibile: camminare tra le Torri Gemelle appena costruite, 110 piani sopra le teste di una città e del mondo intero, senza paura di cadere giù e concedendosi anche l’unica libertà che il funambolo non può prendersi: guardare di sotto. E non c’è bisogno di chiedersi il perché, dato che non ci può essere risposta.

Zemeckis, sfruttando le potenzialità del 3D come di rado si può vedere al cinema, regala un ritratto appassionante del personaggio e della sua impresa, tralasciando in qualche maniera i lati più complessi e oscuri che erano invece emersi nel bellissimo documentario Man on Wire di James Marsh (che aveva vinto il premio Oscar nel 2009). Affidato il ruolo di Petit a Joseph Gordon-Levitt, il regista si concentra sul sogno e sull’ambizione del funambolo, ricostruendo dal principio la nascita del progetto della “passeggiata”, per arrivare a raccontarla in una seconda parte di film che letteralmente toglie il fiato e tiene in bilico lo spettatore, sospeso con Petit a centinaia di metri da terra, senza nessun cavo di sicurezza per limitare i danni. Una sfida che il pubblico è “costretto” a dividere con il protagonista, trattenendo a più riprese il fiato, mentre il regista - inquadrando le Torri Gemelle con grande emozione - elabora su diversi livelli il concetto di sogno e riserva a queste il suo, di sogno. Personalissimo e intimo. Proprio i due grattacieli diventano così il personaggio aggiunto del film: e non a caso la dedica finale è per loro, in un misto di illusione e utopia

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