Il sogno “chimico” di Luhrmann

«Negli anni più vulnerabili della giovinezza mio padre mi diede un consiglio…». Aveva giurato fedeltà al romanzo Baz Luhrmann al momento di presentare il suo film tratto da Il grande Gatsby, ma una volta ripreso l’incipit che apre anche la sua pellicola si è allontanato in fretta dal proposito e quindi dal capolavoro di Francis Scott Fitzgerald.

Una sfida coraggiosa quella di riportare al cinema uno dei grandi classici della letteratura americana, la storia del misterioso Jay Gatsby, dell’ingenuo Nick Carraway e della sua sofisticata cugina Daisy, la loro estate del 1922 vissuta a West Egg, nella baia dove si specchia lontano il riflesso di New York, sospesa in un tempo “senza tempo”.

Difficile raccontare al cinema il complesso e affascinante Gatsby, personaggio simbolo e cinematografico già nelle pagine di Fitzgerald, «uno che coltivava la speranza e captava i terremoti». E con lui l’America degli anni Venti, con New York che viveva «sull’orlo della frenesia», tra feste, musica, gli affaristi di Wall Street, gli edifici sempre più alti. Insomma l’età del jazz. Su questo ha ragione Luhrmann, probabilmente nessuno sa oggi come è stato vivere quel momento di corsa folle verso il baratro del ’29, verso la fine del sogno americano anche se Fitzgerald lo ha raccontato con tanta decadente precisione. È comprensibile allora la scelta iniziale dell’autore di voler dare la propria lettura personale che azzarda e rischia, senza il timore di allontanarsi troppo dal romanzo.

Un libro che parla del tempo, del passato e dello sguardo sul futuro viene quindi riletto attraverso un’opera tridimensionale piena di musica e di colori, un caleidoscopio hip hop fatto di bassi che pompano ad alto volume e di “eccessi chimici”, così come il regista immagina che potesse essere l’effetto subito da un ospite di uno dei ricevimenti dati da Jay Gatsby. Uno scintillante miraggio, una corsa a velocità folle su macchine d’epoca che rombano negli occhi di Luhrmann come bolidi di formula uno perché «tutto può essere e lo stupore può dissolversi facendo diventare realtà l’incredibile» proprio come nei racconti di Gatsby e nelle parole di Carraway. Con la confusione del narratore che diventa quindi quella dello spettatore che non può fare altro che lasciarsi trasportare, senza farsi domande.

Ma se la prima parte del film si presta a questa chiave di lettura, nella seconda il gusto per il melodramma prende il sopravvento e il sentiero scelto dal regista si stringe in maniera pericolosa. Le licenze prese nei confronti di Fitzgerald diventano sempre di più e Luhrmann pare replicare più se stesso che non l’originale Gatsby. La vicinanza con Moulin Rouge diventa evidente e “pericolosa”, e anche la scelta del 3D sembra un limite alla macchina da presa che, con il passare delle scene, è più impegnata a stupire che ad affascinare lo sguardo.

È un film destinato a spaccare in due il pubblico questo Gatsby. Spettatori costretti alla scelta tra un sentimento di tradimento per le scelte operate dal regista o di fascinazione per le stesse invenzioni. Come in altre opere di Luhrmann maniacale è il lavoro fatto sulle musiche con una colonna sonora attualissima curata dal rapper e produttore Jay-Z che mette in fila un numero di stelle pari a quelle che stanno sullo schermo, per un tema che diventa a sua volta protagonista quasi indipendente come accadeva proprio in Moulin Rouge. Sullo schermo, intanto, svetta Leonardo DiCaprio dolente e lui sì praticamente perfetto (ma anche Carey Mulligan nei panni di Daisy e Tobey Maguire in quelli della voce narrante Nick Carraway sono bravi).

Luhrmann va come Fitzgerald alla scoperta «dell’inesauribile varietà della vita», ma il romanzo sul sogno americano diventa altro: si perde la metafora dell’amore per Dasy come scalata sociale, si perde il respiro letterario e decadente di un’epoca, mentre Gatsby si trasforma certo in un’opera personale, ma fredda e alla fine vuota.

PRIMA VISIONE - «Negli anni più vulnerabili della giovinezza mio padre mi diede un consiglio…». Aveva giurato fedeltà al romanzo Baz Luhrmann al momento di presentare il suo film tratto da Il grande Gatsby...

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