Il sogno americano finisce sulle colline del Kentucky

WEEKEND AL CINEMA... IN STREAMING Il film di Ron Howard tratto dal libro di J. D. Vance

Elegia: confessione autobiografica. Quella che J.D. Vance ha affidato al romanzo, pubblicato nel 2016, in cui ha raccolto i ricordi della sua (ancora giovane) vita di uomo che abbandona le colline del Kentucky per approdare all’università di Yale (Hillbilly Elegy il titolo in originale). Meglio sarebbe dire: ragazzo che è scappato dalle montagne, dai boschi, e poi dalla fabbrica, per approdare «alla civiltà». Un racconto trasformato in film da Ron Howard: Elegia americana appunto. Costruito su due piani narrativi che si intrecciano e si sovrappongono, dichiaratamente autobiografici, e che passano dal 1997 quando il protagonista J. D. è un ragazzo, al 2011 quando lo ritroviamo studente modello a Yale alle prese con i colloqui finali per mettere a frutto la laurea in legge che sta per prendere.

La domanda suggerita quindi sin dalle primissime immagini dovrebbe essere (ed è): come ha fatto un ragazzino figlio di una famiglia disfunzionale, all’apparenza non troppo brillante, a superare tutti gli ostacoli che la vita sembrava aver messo sul suo percorso per arrivare ad affermarsi? Una madre tossicodipendente, un padre che non si conosce, una nonna «forte come Terminator» (Glenn Cloose con una maschera costruita per fare bene agli Oscar): dove ha trovato la forza, in una società che non ama e non premia i deboli? Sappiamo dal principio che J. D. ce l’ha fatta, e quindi il film dovrebbe stare - e sta - nel percorso, non nel suo epilogo noto. «Qualunque cosa cercassero alla fine del Route 23 non l’hanno mai trovata» racconta la voce fuori campo di J. D. mentre con la famiglia lascia le colline come aveva fatto la nonna scappando anni prima. La fuga dalla terra, la fabbrica e poi la chiusura della fabbrica, il sogno americano, la speranza, Al Gore in tv che perde le elezioni e Bill Clinton travolto dallo scandalo.

Elegia americana è un film di contrasti, che non si risolvono. Dentro e fuori lo schermo. Che resta prigioniero delle sue due anime, che rimangono divise e purtroppo non si fondono. Quello di Ron Howard non diventa mai un film politico, come pure potrebbe e dovrebbe essere visto il tema, il prologo, le continue sottolineature e i richiami al sistema americano che impone la sua legge, decide chi ce la può fare e chi no, chi ha abbastanza forza, determinazione, cattiveria per emergere e chi è destinato a rimanere un loser per tutta la vita. E viceversa non è il film di un uomo che si salva grazie all’aiuto e all’amore della nonna, non è il racconto intimo di un rapporto speciale che ha portato un ragazzo a scappare dalle colline del Kentucky per arrivare a Yale, all’università, e al successo.

Due anime, due percorsi, due interrogativi che non si risolvono. Una separazione che in patria è diventata - se è possibile - ancora più estrema, traumatica, con la critica che ha stroncato il film con parole al limite del disprezzo (esagerate, sinceramente) e il pubblico che ha invece premiato il film con giudizi positivi e gli ha regalato un posto tra i più visti della piattaforma Netfilx.

Con più equilibrio si deve dire piuttosto che la frattura non si ricompone, che Ron Howard cerca di mantenere in vita entrambi i film ma non ci riesce. Che ciò che resta - il racconto degli “uomini delle colline“ - non è certo nuovo, è un po’ banale, ma vive alcuni momenti emozionanti. Ma che alla fine Elegia americana «non si salva da solo» come dovrebbero fare i suoi protagonisti.

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