Il ricordo di Ada Negri a Mantova

Festivaletteratura al via:

Antonia Arslan

e Nicoletta Maragno

hanno riletto carriera,

vita e opere dell’autrice

A pochi metri di distanza parla Roberto Saviano, la grande star che “apre” il Festivaletteratura di Mantova e che catalizza inevitabilmente l’interesse di pubblico e media; ma chi temeva che la presenza dello scrittore napoletano potesse mettere in ombra l’incontro dedicato ad Ada Negri, in programma contemporaneamente al teatro Bibiena per battezzare l’edizione 2013 della kermesse, viene clamorosamente smentito. Nel cuore della città virgiliana, davanti al piccolo ma prezioso scrigno di via Accademia, sede prescelta per la ”lezione” sulla poetessa lodigiana a opera di Antonia Arslan, già mezz’ora prima dell’evento si allunga una fila impressionante di persone. Sono arrivati in centinaia, dal Lodigiano ma non solo, per conoscere da vicino l’opera della “maestrina” di Lodi.

E per entrare a teatro non lesinano spintoni, decisi a sedersi su quelle antiche poltrone e in quei sontuosi palchi per ascoltare dalla voce della studiosa (e pluripremiata) scrittrice italo-armena (suoi La masseria delle allodole e Il libro di Mush) la parola poetica e narrativa della prima donna intitolata Accademica d’Italia. Arslan, che ha appena curato a quattro mani con Anna Folli il volume Ada Negri, La cacciatora e altri racconti (Biblos Edizioni), ricorda l’importanza di “rileggere” autrici dimenticate, messe da parte, finite nell’oblio o nella migliore ipotesi derubricate a scrittrici “rosa”, pur essendo al loro tempo molto note e apprezzate ed essendo dotate di indubbie qualità.

E fra queste spicca la lodigiana Ada Negri, cui non è bastata la recente raccolta dell’opera poetica uscita negli Oscar Mondadori a restituire la doverosa notorietà.

Lo spettacolo, nella forma di drammatizzazioni presentate con grande forza espressiva da Nicoletta Maragno - accompagnata dai musicisti della Piccola Bottega Bazar - è costruito per intero sulle figure femminili delle novelle di Ada Negri e parte con la lettura di Nella nebbia, dedicata alla figura di Raimonda, donna dal volto deturpato per un incidente domestico a soli dieci anni, impiegata come dattilografa in un laboratorio fotografico e tagliata fuori, per la bruttezza, dalle gioie dell’amore: finché una sera un bacio rubato a uno sconosciuto, ingannato dalla veletta che le copriva il viso informe, le regalerà quell’emozione destinata ad alimentare di emozioni i suoi residui giorni.

Arslan riepiloga quindi i cenni della biografia di Dinìn, donna di umile famiglia cresciuta in un piccolo universo femminile (nonna portinaia e mamma tessitrice), diplomata maestra nel 1891 e quindi “promossa” alla cattedra di un Liceo milanese per meriti letterari dopo il clamoroso successo del suo esordio poetico, nel 1892, a soli 22 anni con l’antologia Fatalità. Raccolta che ne fece un personaggio pubblico, sempre sotto i riflettori negli anni a seguire, quelli che la portarono ad abbandonare le originarie passioni filo-socialiste fino ad avvicinarsi al Regime che, non a caso, la tributò del titolo di Accademica d’Italia.

Arslan non nasconde i limiti della produzione letteraria del secondo periodo negriano e la disomogeneità dei suoi testi più tardi, rimarcando tuttavia l’altissimo valore di un’opera narrativa quale l’autobiografia Stella mattutina, uscita nel 1921 con quell’attacco celeberrimo («Io vedo nel tempo una bambina»), quasi a denotare la distanza dalle ambizioni e dai sogni di fine ’800 ai clamori della ribalta degli anni Venti. La studiosa ribadisce poi il valore assoluto della produzione novellistica («a mio avviso la sua migliore espressione letteraria») di Ada Negri e di tante autrici “sommerse”, vere luci nel buio di tanta e più celebrata letteratura maschile.

Lo spettacolo, durato oltre due intensissime ore, si è chiuso con le drammatizzazioni di Un rimorso e La Cacciatora, altre due novelle riunite nel volume di Arslan. Splendida – anche per interpretazione – soprattutto la prima, che racconta la “confessione” dolorosa e intensa di una donna incontrata quasi per caso dall’autrice e di cui ha scordato il nome per ricordare però tutto il resto: il dolore di un tradimento che le ha dato per frutto un bambino, amato e insieme disprezzato per averle imposto una vita nella menzogna, una «camicia che si attacca alla pelle» e non si stacca più.

Marco Ostoni

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