Cultura
Giovedì 27 Novembre 2025
Il Riccardo III di Marchioni al Piccolo di Milano
TEATRO La recensione di Fabio Francione
Milano
Se c’è un villain nel teatro scespiriano, questi non può che avere il nome di Riccardo di Gloucester. Meglio conosciuto, una volta asceso al trono di Inghilterra, come re Riccardo III, ultimo della casata degli York, che ebbe la ventura di essere talmente menomato nel fisico da essere dipinto nell’omonima tragedia come il più malvagio tra i malvagi.
Molto più di Lady Macbeth, ancor più di Otello e per alcuni versi persino di Amleto, quando entra nel pieno della sua furibonda follia. In molti, al teatro e al cinema, hanno vestito i suoi panni: da ricordare almeno Laurence Olivier che di Shakespeare fu interprete novecentesco per antonomasia. In Italia, tra gli interpreti non possono non esser citati Gino Cervi, Carmelo Bene, Alessandro Gassman e in ultimo Vinicio Marchioni. Quest’ultimo protagonista assoluto della versione adattata da Antonio Latella e Federico Bellini, rispettivamente regista e traduttore, per il Piccolo Teatro di Milano.
In scena allo Strehler fino a Domenica 30 novembre, la messa in scena s’avvale di un cast corale e affiatato che ha, in Marchioni, un regista in campo, per come è abile a manipolare parentele, amicizie e inimicizie. Ma è la figura di Riccardo III a gestire le fila di una presa del potere che si rivelerà alla fine fallimentare. Interessante è la presenza letteralmente fisica della scena: un giardino in apparenza delle delizie, in cui però si consumano le peggiori nefandezze e assassinii. Re deposti, eredi alla corona trucidati, mogli rese vedove e risposate a proprio piacimento per poi essere ripudiate. Madri che maledicono figli. Fratricidi. Tanto per ampliare l’elenco. Pare, dunque, stabilirsi una linea atemporale che attraversa le epoche (i costumi vittoriani slittano l’azione di 200 anni, alla fine dell’Ottocento e la pistola che ogni tanto emerge – e spara - apre le porte al XX secolo): è Shakespeare, ma è anche Cechov e il tramite come dichiara il regista è la commedia hollywoodiana degli anni d’oro. Scomodare Billy Wilder non è idea peregrina. Anzi, alza il tono della tragedia, mai farsa, anche se fa capolino talvolta il gioco perverso di specchiare il teatro nel teatro.
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