Il panda Po in bilico tra due culture

Yin e yang. Il bianco e il nero: la luce e il buio, l’acqua e il fuoco, ma anche… il panda. Torna mantenendo la sua doppia anima Kung Fu Panda, arrivato alla terza “puntata”, questa volta arricchita addirittura da una firma italiana alla regia, quella di Alessandro Carloni che si unisce a quella di Jennifer Yuh Nelson.

Doppia anima, doppia cultura: quella orientale del testo e dell’ambientazione mediata, filtrata dalla produzione Dreamworks che si respira lungo tutto questo terzo film, così come era accaduto nei precedenti. Il panda Po lo ritroviamo alle prese con un’avventura “adulta”, più complessa e articolata a dispetto della goffagine e della “semplicità” del protagonista: un altro doppio di questa serie d’animazione campione d’incassi… Comunque ritrovato il padre naturale all’inizio della pellicola Po dovrà affrontare un viaggio per andare al “villaggio segreto dei panda”, per conquistare la consapevolezza di sé e quindi l’energia del “Chi” che gli permetterà di combattere contro il terribile Kai, spirito maligno guerriero.

Crescita, presa di coscienza, sono questi i temi centrali del terzo film, l’episodio in cui al panda diventato maestro di arti marziali toccherà l’impresa più difficile di tutte: “trasformarsi in se stesso”. Dovrà farlo con l’aiuto degli amici di sempre, Tigre, Gru, Vipera, Scimmia e Mantide, con gli insegnamenti di Maestro Shifu e della tradizione ma, soprattutto, con l’appoggio indispensabile della famiglia, di Mr. Ping il padre-oca che lo ha adottato e cresciuto e di Li Shan, il padre naturale che aveva perduto e che ha ritrovato.

E’ figlio di due culture il progetto intero della serie Kung Fu Panda, legato a doppio filo tanto alle dinamiche del cinema wuxia e dell’animazione giapponese - di cui rispetta la meravigliosa grafica - quanto alla tradizione occidentale dei “cartoni” e del cinema d’azione. L’ambientazione consente agli sceneggiatori un doppio binario: sviluppare storie e situazioni care agli appassionati dei film del “far east”, senza dimenticare però le dinamiche, marchio di fabbrica della “nostra” animazione. Alessandro Carloni e Jennifer Yuh Nelson hanno scelto una linea di continuità con gli episodi e con gli autori precedenti, un collegamento che è reso esplicito attraverso citazioni come quella della stanza del palazzo di Giada. E su quella “traccia” hanno inserito i nuovi personaggi.

Per quanto riguarda poi i temi, il meccanismo di identificazione per un pubblico di “piccoli” resta immediato, ma altrettanto forti sono le tracce contenute in un sottotesto che suggerisce percorsi più adulti ed evoluti. A dispetto dell’apparenza giocosa le vicende di Po e dei suoi amici non sono mai infantili (se si tralascia la voce del doppiaggio italiano di Fabio Volo che qualche dubbio lo lascia…), ma anzi dotate di prospettiva e profondità. Anche il pubblico che non frequenta le sale cinematografiche, ad esempio, è stato investito nei giorni di questa uscita italiana da una polemica piuttosto strumentale riguardo alla “doppia paternità” del panda Po, quella naturale e quella adottiva, un’argomentazione piuttosto contorta che appare decisamente pretestuosa e che in effetti si risolve da sé una volta visto il messaggio che realmente veicola il film.

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