Il nuovo viaggio dell’Enterprise

Lo spazio, l’ultima frontiera. Il territorio ignoto verso cui non viaggiano più cow boy a cavallo ma la nave stellare Enterprise «diretta all’esplorazione di strani nuovi mondi. Alla ricerca di nuove forme di vita e di civiltà, per arrivare laddove nessuno è mai giunto prima». Enterprise, la nave di Kirk, il capitano di Star Trek.

È uno di quei film per i quali servirebbe un cartello appeso davanti alle sale di proiezione con scritto “chi tocca muore”: Into darkness ovvero Star Trek dodicesimo episodio, il nuovo capitolo della saga in cui si avventura J. J. Abrams, il “padre” di Lost (e del precedente episodio del 2009), che si confronta senza timori con la passione di milioni di spettatori legati a doppio filo agli episodi televisivi, prima e soprattutto, e a film fin qui realizzati.

Star Trek è più di una saga, è un “culto”, un lungo romanzo per immagini che ha i canoni del classico di fantascienza, con un linguaggio, dei temi, colori e suoni, che devono essere rispettati, per convincere gli appassionati. Oppure rivoluzionati, per sparigliare e restituire entusiasmo al genere. Anche per questo il creatore di Lost deve esser apparso perfetto per questo tipo di operazione di rinnovamento, nel segno della tradizione. Qui è alle prese con un’altra avventura dell’equipaggio dell’Enteprise, guidato da un giovane e ancora irruento capitano Kirk che va in caccia di un pericoloso nemico che si rivela essere un elemento “sfuggito al controllo” della Federazione.

I temi classici della serie si mischiano ai gusti di Abrams e anche all’attualità in Into darkness, ma l’obiettivo - per la nave spaziale e per il regista - resta il medesimo: portare lo spettatore «là dove nessuno è mai giunto prima».

Non sono più esploratori ma soldati combattenti quelli guidati da Kirk in questo episodio, anche se un codice morale resiste come è costretto a ricordare Spock ai suoi compagni: così la vendetta non è accettata, ma è la ricerca della giustizia che deve trionfare. Abrams riporta alla luce il pianeta Kronos e i nemici Klingon, ma introduce particolari, città, scenografie meno fedeli al modello originale e che citano piuttosto altri classici del genere. I temi portanti restano quelli del confronto tra la forza e l’intelletto, il senso di appartenenza e la forza dell’equipaggio come risorsa massima. Mentre sono più «lenti» alcuni collegamenti ad argomenti forti della serie come la “diversità” razziale e il rispetto dell’altro. In compenso il film sviluppa altre strade, mette i protagonisti davanti a una minaccia che arriva dall’interno, e a un pericolo nascosto tra quelli che dovrebbero essere amici.

Non sempre però si riesce a non pensare che alcune sottolineature siano messe apposta da J. J. Abrams per convincere il pubblico degli appassionati sull’aderenza al modello, per non apparire blasfemo. Ma è una sensazione che passa rapida, travolta dal ritmo dell’azione.

Perché la chiave di lettura sta tutta qui, in una sequenza iniziale che sembra un omaggio ai “predatori dell’arca” dell’amato maestro Spielberg ed è allo stesso tempo una dichiarazione d’intenti: l’obiettivo è far convivere azione e spettacolo puro, proprio secondo la regola del regista di E.T. (a cui Abrams aveva “dedicato” il suo Super 8). Un meccanismo che in questo dodicesimo episodio si completa anche attraverso la trasformazione di Spock da uomo di pensiero a uomo d’azione. Un percorso che si compie a bordo della nave Enterprise che non a caso viene distrutta e ancora una volta ricostruita, per permetterle di riprendere il largo verso nuovi universi.

PRIMA VISIONE Lo spazio, l’ultima frontiera. Il territorio ignoto verso cui non viaggiano più cow boy a cavallo ma la nave stellare Enterprise «diretta all’esplorazione di strani nuovi mondi. Alla ricerca di nuove forme di vita e di civiltà, per arrivare laddove nessuno è mai giunto prima». Enterprise, la nave di Kirk, il capitano di Star Trek...

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