Il Lodigiano in camicia nera, un libro

Una pagina di storia che molti hanno preferito dimenticare. Sepolta negli archivi, cancellata dalla memoria collettiva, offuscata da cronache storiografiche che spesso hanno poco approfondito quel che è successo nel territorio e alla sua gente. A 90 anni dalla Marcia su Roma, nel giorno in cui i calendari di tutto il paese si fermano per riflettere sulla presa di potere del totalitarismo in Italia, sul fascismo lodigiano si accende la luce degli studi di due storici che hanno scavato nel passato attraverso le cronache dei quotidiani dell’epoca. Un lavoro certosino, firmato a quattro mani dallo storico Angelo Stroppa e dal direttore de «Il Cittadino» Ferruccio Pallavera, con il suggestivo titolo di Eia Eia Alalà - Il Lodigiano in camicia nera, presentato ieri mattina nella sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso di via Callisto Piazza, a poco meno di un anno dal disastroso rogo che ha quasi interamente distrutto i locali e messo seriamente in pericolo l’esistenza della stessa associazione e la sua storia lunga oltre 150 anni. Documenti inediti, un ricco patrimonio di fotografie e di manifesti dell’epoca, messi insieme grazie alla consulenza di un decano dell’immagine del territorio come Pasqualino Borella, il lavoro dei due rientra nel percorso del centro di studi e documentazione Tiziano Zalli, auto finanziato grazie al sostegno della Fondazione Banca Popolare, il patrocinio della città di Lodi, Astem Gestioni, il Centro studi e documentazione Paolo Gorini e il quotidiano «Il Cittadino». Circa 16 le testate quotidiane e periodiche consultate, di tutte le estrazioni politiche, quasi tutte scomparse oggi, tranne «Il Cittadino», sono circa 9mila gli articoli che costituiscono il corposo patrimonio di fonti a cui hanno attinto i due studiosi. Un racconto, per tappe e flash inediti, che parte dalle prime visite di Benito Mussolini nella città del Barbarossa, tra il 1912 e il 1913, tra le stampe che realizzava in via San Bassiano, i pranzi con gli amici lodigiani oltre Adda, uno su tutti, Enrico Achilli, conosciuto in città come Kilu, fondatore della rivista «Il Rococò», che ha lasciato alla città anche il nome dell’isolotto Achilli, e i contatti ufficiali con i primi fasci lodigiani, con la pubblicazione del testo della missiva inedita con cui, lo stesso Mussolini nel 1920, invitata alla costituzione del fascio, «anche se gli aderenti saranno da principio pochini». Un movimento su cui pesava il sangue di una delle prime stragi fasciste in Italia, quella al Teatro Gaffurio, ma di cui, nel volume, si citano, per la prima volta, i 1.500 nomi e cognomi di chi vi fece parte. Uomini e giovani, membri della media borghesia e studenti, donne, mogli, madri, figli, fidanzate, fiancheggiatrici, complici spesso inconsapevoli che se ne stavano in ansia a cucire gagliardetti di morte. Storie che meritano di essere conosciute. «Per vent’anni il 28 ottobre è stata una data sacra, poi è diventato una appuntamento da dimenticare - ha ricordato il direttore de «Il Cittadino», Pallavera, tra i relatori della mattina insieme ad Angelo Stroppa e a Otello Bosio, presidente della Società Operaia di Mutuo Soccorso -: se anche altri territori si impegnassero a raccontare questa storia partendo dal basso, avremmo una visione più completa e veritiera di quel che è stato quel ventennio per l’Italia. Anche se è passato quasi un secolo, siamo convinti che il libro farà discutere perchè su quel periodo si è messa una pietra tombale».

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