Il giornalista Rumiz sulla Francigena

Era la scorsa primavera quando il giornalista triestino de «La Repubblica» Paolo Rumiz, in viaggio alle radici del Po, fece tappa a Senna Lodigiana. Cercava un riparo dove passare la notte e fu così che incontrò il “signore” dell’ostello Giovanni Favari. Una sera di cui il sennese ha un ricordo sfumato dall’ora per lui tarda – anche se erano da poco passate le 22 – e dalla nebbia del sonno: «Ero a letto e il barista Carlo mi venne a chiamare per dirmi che c’erano due pellegrini ad aspettarmi. Misi addosso una tuta e uscii». Fuori era buio, l’ospitaliero trovò davanti a sé Rumiz e il cameramen, ma non li riconobbe. «Si presentarono come semplici pellegrini, avevano l’aria stanca e mi dissero che a Corte Sant’Andrea gli era stato indicato l’ostello dove dormire – prosegue -. Mi fecero una breve intervista sotto il lampione del cinematografo, ero vestito alla bell’e meglio e avevo anche un po’ sonno, così non prestai attenzione a chi erano». Una cosa però la ricorda bene: «Mi domandarono quando tenevano l’ostello aperto e gli risposi che è sempre aperto, anche il giorno di Natale. Rimasero molto stupiti». Accompagnati in stanza, il giornalista e il collega salutarono Favari e il mattino seguente, dopo un caffè insieme, ripartirono. «Pensavo fossero due canoisti, sapevo soltanto che avevano una barca».

Favari scoprì l’identità dei due sconosciuti solo qualche giorno più tardi, quando «un signore di Senna che legge “Repubblica” mi disse che sul giornale si parlava del viaggio di Rumiz a Corte Sant’Andrea». Il diario del giornalista pubblicato a puntate sul quotidiano è diventato un libro, Il risveglio del Fiume Segreto, dove Rumiz racconta come solo lui sa fare l’incontro con Favari: «Anche Alex e il capitano temporaneamente se ne andarono, inghiottiti dal bosco, in direzione di Senna Lodigiana, dove avevano trovato da dormire in un ospizio della Francigena. […] Ma un tipo solenne di nome Giovanni, chiamato dal sindaco grazie all’intermediazione di un barista, aveva aperto loro l’ostello del pellegrino, offrendo una stanza in coabitazione con una pittrice inglese delicata come una duchessa e capace di russare come un camionista. “Io appartengo al Sovrano Ordine Militare di Malta e seguo la regola di San Benedetto”, aveva premesso l’uomo venuto dal Medioevo, precisando che quello di Senna non era un albergo ma una missione. “Noi ospitalieri siamo in cinque - aveva detto - seguiamo l’hora et labora, e la nostra è una pratica millenaria gratuita si rivolge ai pellegrini poveri. Vogliamo che Senna sia un punto di riferimento per tutti quelli che passano”. Poi aveva evocato il Grande fiume, i secoli di mercanzie che ci erano passati sopra, il vino e l’olio che la Serenissima aveva portato in barca fino a Pavia. Un tipo che si prendeva sul serio, e alle celebrazioni del Transitus si vestiva da vescovo Sigerico in processione». Un magico specchio tra la realtà e la narrazione.

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