Il fine vita dei vestiti, quando la moda diventa inquinamento
FOTOGRAFIA ETICA La mostra di Magnus Wennman, The dark side of fast fashion
Lodi
Una spiaggia ad Accra, capitale del Ghana, totalmente ricoperta da strati di vestiti. Uno scarponcino da sci arancione, spaiato, scaricato fuori dal mercato di Cotonou, in Benin. Gambe di manichini che spuntano in modo macabro da sacchi di plastica accumulati in un angolo. The dark side of fast fashion (il lato oscuro della “moda – veloce”), lavoro di Magnus Wennman esposto nel chiostro del Palazzo della Provincia, in via Fanfulla a Lodi, è scaturito da un’inchiesta fotogiornalistica che Wennman ha realizzato insieme al collega Staffan Lindberg.
Entrambi lavorano per Aftonbladet, uno dei principali quotidiani svedesi. «Ci siamo accorti che una grossa compagnia aveva sì promesso ai clienti di riciclare i vestiti, ma in realtà li esportava in altri Paesi. Abbiamo deciso di seguire il percorso di questi abiti», ha raccontato Wennman al pubblico intervenuto domenica mattina, nell’ultima giornata del Festival della fotografia etica 2025. «Alcuni carichi finiscono in Romania, altri in Polonia, in vere e proprie città stoccaggio», ha rivelato, mostrando anche la cartina su cui ha ricostruite le rotte. “Ma la maggior parte nei Paesi africani. Ciò che più mi ha scioccato è stata la spiaggia ad Accra. Camminando sopra lo strato di abiti che ha sostituito la sabbia, mi sono reso conto di quanto immenso fosse il problema. I pescatori ci hanno rivelato che non c’è più pesce. Inoltre nell’acqua finiscono le microplastiche contenute nei tessuti».
Ma come i vestiti arrivano fino all’oceano? In un altro scatto Wennman mostra un giovane che trasporta un sacco in plastica, pieno. «Quando gli abiti arrivano in Paesi come il Ghana, vengono venduti per poco, a sacchi di 50 chili l’uno. Le persone comprano il sacco, ma a loro servono pochi dei vestiti che contiene – ha spiegato -. Gli abiti rimanenti vengono abbandonati per strada. Appena arriva la pioggia trasporta tutto nei fiumi e, alla fine, nell’oceano. Nemmeno le persone del posto sanno come smaltire questa immensa quantità di abiti». Altro aspetto, quello fotografato a Cotonou: magazzini ordinati strapieni di merce, ma senza clienti. E se l’inchiesta in Svezia ha avuto grande eco, fino a indurre la compagnia in questione a cambiare alcuni aspetti della propria filiera, «è importante ribadire – ha sottolineato Wennman, classe 1979, che nella sua carriera ha ricevuto riconoscimenti come sette World Press Photo in diverse categorie – che il problema non è di una sola ditta, ma di tutta l’industria del fast - fashion».
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