Il film di Natale senza “panettone”

Non chiamatelo cinepanettone. C’è la neve, d’accordo, ci sono l’albero, le musichette tradizionali e i comici, ma il tentativo di allontanarsi dallo stereotipo che ha fatto genere (con poche eccezioni: vedi Aldo Giovanni e Giacomo) nel cinema “natalizio” nazionale è chiaro ad ogni scena. E’ Il peggior Natale della mia vita: non è più tempo di “olgettine” e di “bunga” e anche il film delle feste, in qualche maniera, si adegua. Ecco allora il tentativo di costruire una nuova formula, che si discosti nella forma, se non nella sostanza.

La squadra di Colorado film, guidata da Abatantuono, riprende regista e interpreti di La peggior settimana della mia vita per una seconda puntata a sfondo natalizio delle avventure di Paolo e Margherita (Fabio De Luigi e Cristiana Capotondi), questa volta invitati per Natale nella villa-castello del principale del padre di lei, che proprio in questa occasione dovrebbe annunciare il passaggio di mano della sua azienda al socio fidato.

In questa ambientazione ai piedi del Monte Rosa, con questi presupposti, il regista Alessandro Genovesi costruisce una commedia che occhieggia al modello ambizioso di Hollywood Party e al genio di Blake Edwards e di Peter Seller. E proprio la presenza di Fabio De Luigi dovrebbe, nelle intenzioni, permettere l’avvicinamento al prototipo “inventato” dalla coppia, anche se sarebbe ingeneroso richiedere all’attore (e in questo caso anche autore di soggetto e sceneggiatura) una prova per reggere in confronto con l’inarrivabile Clouseau.

Il film è comunque costruito sin dalla scena iniziale sulla faccia e sulle smorfie del protagonista, l’amabile “idiota” che involontariamente provoca con la sua dabbenaggine disastri a profusione, dalla distruzione di locali pubblici all’incendio di alberi di Natale, passando per l’ormai scontata soppressione di animali domestici vista in tutte le commedie recenti di queste genere. La tecnica a cui si mira è quella della comicità slapstick, anche se il risultato non si può dire sempre raggiunto.

Funziona in parte il cast “di contorno” (che in questo caso deve avere una parte principale da “spalla” corale) con il sempre bravo Antonio Catania e Anna Bonaiuto e con l’aggiunta di Abatantuono, ma quando compaiono in scena Ale e Franz in un’azzeccatissima parte “funerea” si capisce che fino a quel momento quella che era mancata è una sana e robusta dose di cattiveria. Nonostante gli sforzi e le trovate, nonostante la bravura degli interpreti, sembra dominare ovunque la voglia di allontanarsi dalla formula sguaiata dei “panettoni” con il risultato che spesso al film vengono e a mancare il ritmo e una scrittura più solida a far da sostegno alle gag (che richiedono una tecnica sopraffina per funzionare): non è facile rifare Hollywood party e alla fine, nella ricerca continua di “controllo”, il film finisce per non fare quello che dovrebbe: essere soprattutto divertente. Sembra sempre sul punto di partire, l’apocalisse scatenata dalla goffaggine del protagonista sembra poter esplodere ad ogni istante, ma non lo fa. E il modello di Peter Seller resta, inevitabilmente e giustamente, lontano.

PRIMA VISIONE - Non chiamatelo cinepanettone. C’è la neve, d’accordo, ci sono l’albero, le musichette tradizionali e i comici, ma il tentativo di allontanarsi dallo stereotipo che ha fatto genere nel cinema “natalizio” nazionale è chiaro ad ogni scena.

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