Il coro di Mario Botta illumina Viboldone: «Mi sono guadagnato un pezzetto di Paradiso»

«Forse nel linguaggio dell’architettura questa è un’opera modesta: ma ho amato lavorare per delle “no global“ come le suore benedettine di San Giuliano. E credo di essermi guadagnato pure un pezzetto di Paradiso». Chi parla è Mario Botta, il 73enne architetto e designer di Mendrisio (ma con studio a Lugano) che ha progettato e realizzato il nuovo coro per l’ordine benedettino dell’abbazia dei Santi Pietro e Paolo di Viboldone. Coro la cui progettazione è durata un anno e mezzo e, nonostante sia un’opera “minore“, porta la firma di uno degli architetti più apprezzati al mondo.

Botta del resto è una celebrità. La riqualificazione della Scala di Milano nel 2002 è l’opera che più l’ha fatto conoscere in Italia, così come la biblioteca delle scienze all’università Tsinghua a Pechino, la sede centrale Campari a Sesto o la Torre Kyobo a Seoul. Così come il professionista ticinese si è specializzato nell’arte sacra (vedi la cattedrale a Evry, la chiesa di Seriate o la parrocchia del Santo Volto a Torino) sempre caratterizzando i suoi volumi con pragmatismo e figure geometriche nella loro forma più pura.

Ed è la purezza delle 25 suore dell’ordine benedettino viboldonese, da 75 anni uniche custodi della magnifica abbazia del borgo medievale abbandonato di San Giuliano Milanese, che ha colpito l’architetto ticinese spingendolo a realizzare un’opera di cui avevano disperato bisogno, che non avrebbero potuto permettersi e che lui ha curato fin nei minimi dettagli compreso quello della ricerca di uno sponsor. «Delle vere “no global“ nel senso più letterale del termine», come definisce le suore lui, che ha accettato di raccontare al Cittadino sua esperienza nella realizzazione del coro della chiesa dei Santi Pietro e Paolo.

Raggiunto telefonicamente nel suo studio di Lugano, l’architetto Botta rammenta come ha preso corpo la sua opera che oggi fa bella mostra di sé nel transetto dell’abbazia: «A interessarmi per primo del coro di Viboldone è stato un anno e mezzo fa il vicepresidente esecutivo del Fai Marco Magnifico: mi ha raccontato di come avesse promesso alle suore di trovare un finanziatore per un nuovo coro, dato che erano costrette a cantare in una struttura vetusta, ridondante e inadeguata».

L’architetto di Mendrisio ha così garantito il suo aiuto, incontrato le suore e la madre superiora Ignazia Angelini, ha ascoltato le loro esigenze e si è messo alla ricerca di un finanziatore. Quasi subito trovato, dopo qualche tentativo a vuoto, nel vecchio amico Bernardo Caprotti, il 90enne patron dell’Esselunga e fondatore della prima catena di supermercati in Italia. «Un mecenate ideale – racconta Botta – anche perché Caprotti mi ha raccontato di essere particolarmente affezionato a Viboldone: ci andava da bambino in bicicletta». Una volta trovati i fondi – 120mila euro – è partita la fase della progettazione. Il vecchio coro dell’abbazia era da buttar via (un insieme di sedute in legno compensato che stonava in un gioiello architettonico come Viboldone) mentre quello absidale, risalente al ‘600 e realizzato dagli Olivetani, conta soltanto dodici posti. Inutilizzabile dalle 25 suore benedettine – molte delle quali sopra i settant’anni di età – che da tre quarti di secolo proteggono la sacralità dell’abbazia alle porte di Milano.

«Ho incontrato le religiose più volte – racconta Botta – e ho ascoltato i loro consigli: serviva un coro che garantisse loro rispetto e comodità, che regalasse l’acustica più vicina alla perfezione e che infine fosse perfettamente integrato con la bellezza e la sacralità del luogo». Il primo progetto non andava bene, il secondo era migliore ma non adeguato, il terzo ha finalmente ottenuto l’avallo dell’ordine. Una sfida anche per Botta che di luoghi sacri ne ha costruiti più d’uno, ma di strutture liturgiche (per un ordine femminile tra l’altro) era ancora all’asciutto. Il vecchio coro è stato smontato e dalla fine dell’anno scorso sono partiti i lavori su quello nuovo, realizzato dalla ditta Riva 1920 di Cantù.

Come materiale è stato scelto il noce italiano, il più simile al legno che adorna la chiesa all’interno. Il coro è stato diviso in due parti ai lati del transetto, tre file di cinque sedie ciascuno e disposte in modo degradante «per liberare al meglio le voci e dare loro profondità e ampiezza». Al centro i cinque posti della presidenza del coro collegati da una pedana lignea ai due lati della struttura. Semplice, con forme geometriche pure e richiami ai dettami dell’architettura classica ma con tocchi decisamente moderni, nello stile dell’architetto e designer svizzero. Il coro ha fatto il suo esordio durante i Vespri del 22 maggio scorso.

Non contento, Botta ha voluto anche “regalare” un’illuminazione degna a celebrare gli interni dell’abbazia sangiulianese, adorna di bellissimi affreschi di scuola giottesca risalenti al ‘300 ma condannata da decenni a un’illuminazione inadeguata con semplice pannello “on off”. Così è stato messo a punto – sotto la supervisione dell’architetto milanese Elisabetta Michelini – un sistema di punti luce a led fornito dalla IGuzzini e finanziato dalla Fondazione Cariplo, modulabile su una scala di dodici gradazioni differenti, che adesso sono in grado di esaltare le navate del luogo sacro (fondato nel 1176 e completato dagli Umiliati un secolo e mezzo più tardi) e le sue decorazioni. «Non ricordo più nemmeno quante volte sono venuto a Viboldone in questi ultimi 18 mesi: ma è stato un piacere. E poi mi sono guadagnato di sicuro una preghiera personale per l’aldilà».

© RIPRODUZIONE RISERVATA