Il cinema politico di Redford

Una causa giusta, combattuta con le armi sbagliate. Questa è stata per Robert Redford la battaglia dei Weather Underground rievocata ne La regola del silenzio, il suo film che ripercorre una parte poco nota della recente storia americana. Quella che riguarda appunto il movimento radicale che partendo dalla protesta contro l’impegno nel Vietnam, a cavallo degli anni Settanta, si macchiò anche di episodi di sangue e finì per essere la più violenta (e quindi ricercata) cellula terroristica nata all’interno del Paese.

Fare luce sulla storia, a quarant’anni di distanza, e fare i conti con il passato, quello della nazione e quello personale. Ribaltando anche la prospettiva e i ruoli: sono lontani gli echi del Watergate ma non le atmosfere di Tutti gli uomini del presidente, anche se ora Redford ha parecchie rughe in più e sulla scena sta dall’altra parte della barricata, inseguito da un giovane reporter che vuole sollevare il coperchio chiuso su quella storia dimenticata. Nel suo nuovo film da regista Redford si ritaglia anche la parte del protagonista Jim Grant, maturo avvocato di provincia, ricercato dall’Fbi perché ritenuto responsabile di uno degli omicidi attribuiti ai Weather Underground: dopo trent’anni vissuti nell’ombra, con una nuova identità e una vita tranquilla, una figlia piccola avuta da una donna che lo ha lasciato vedovo, è lui che si ritrova a pagare il conto con il passato, dopo l’arresto di una delle ex militanti della cellula. “Obbligato” a dover chiudere una pagina che lui e il Paese sembravano aver nascosto bene in un armadio.

Così Jim scappa per riprendere contatto con alcuni ex compagni, oggi tutti sistemati in occupazioni rispettabili, e per disinnescare l’accusa che lo porterebbe in galera per omicidio. Sulle sue tracce, oltre all’Fbi, un giovane reporter di un quotidiano locale (Shia LaBeouf), che ha contribuito con la sua indagine a far riaprire il caso nazionale. Imprenditori, professori universitari, investitori e pure contrabbandieri: i “reduci” che Grant-Redford va a cercare e ritrova hanno ormai vite “normali” e un presente lontano anni luce dalla militanza del passato. Con loro si innesca un confronto che permette al regista di seguire le diverse tracce che stanno “sotto” il testo principale: La regola del silenzio diventa quindi un film sulla riconciliazione, sul conflitto di coscienza e sull’opportunità e il dovere di chiudere i conti con gli errori del passato. A livello personale e a livello di nazione. Il film procede come un thriller, in maniera assai lineare, classica, con un meccanismo che alla fine rimette tutti i pezzi al proprio posto, offrendo però anche diversi spunti per spostare lo sguardo altrove, su argomenti più complessi, che parrebbero solo accennati ma sono invece centrali. Uno per tutti la riflessione sul ruolo del giornalismo: Redford sembra quasi “giocare” davanti allo specchio, rivedendo il se stesso giovane in Shia LaBeouf, il reporter che nel film lo insegue e che nonostante gli anni trascorsi (e il mondo completamente trasformato) non può non far pensare al suo Bob Woodward di Tutti gli uomini del presidente.

Il ruolo permette al regista di mostrare quanto sia differente il mestiere oggi, e come le dinamiche e i tempi siano cambiati. Ma come restino invece immutati alcuni elementi, come la consapevolezza che un articolo possa trasformare la Storia intera. Una volta garantitasi la giusta distanza dai fatti Redford non ha paura di raccontare una pagina difficile del proprio Paese, riaprendo qualche ferita non rimarginata. E ha anche il coraggio di affermare tesi scomode, come quella della “causa giusta” confermando una volta di più la capacità che ha un certo cinema americano di affrontare i fatti della nazione con sguardo lucido e senza cercare il compromesso. Un cinema civile che ad esempio, nella patria di Wall Street, riesce a far dire ad uno dei personaggi che «alla fine i super ricchi sono quelli che se la cavano e ce l’hanno vinta sempre»…

PRIMA VISIONE - una causa giusta, combattuta con le armi sbagliate. Questa è stata per Robert Redford...

© RIPRODUZIONE RISERVATA