Il baseball metafora della vita

Esistono palle dritte e palle curve. Palle che finiscono a più di cento all’ora nel guantone senza effetto e palle che invece piegano all’ultimo la loro traiettoria. Ingannando anche il migliore dei battitori. Palle che precipitano con un “toc!” dentro il guantone, e le riconosci proprio dal rumore. E impari ad intercettarle, se sei bravo. Come gli scherzi o le sventure della vita. Come le poche occasioni buone che ti possono capitare.

Il baseball metafora della vita, il gioco “perfetto” per rappresentarla. Con le sue

Clint Eastwood e Amy Adams

corse in base, i lanci ad effetto, le battute fuoricampo. Gus è uno scout, uno scopritore di talenti, il più bravo in circolazione. Solo che è arrivato al nono inning, all’ultima ripresa della sua vita. E’ invecchiato e non ci vede quasi più, anche se lo ha tenuto nascosto a tutti e ancora va sui campi in cerca di giocatori per la sua società che gioca nella massima serie. E’ vedovo da tanto ormai, la sua unica figlia si è rassegnata a ricevere il minimo sindacale, e anche meno, in termini di affetto e sta costruendo la propria vita in maniera altrettanto arida, dal punto di vista sentimentale. Fino a quando il baseball non li rimette insieme, sulla stessa tribuna, a guardare e “ascoltare” il gioco in campo e quello della via.

Clint Eastwood contravviene alla promessa fatta un tempo e torna recitare in un film che non ha diretto di sua mano e, si sa, le promesse andrebbero mantenute. Come per un debito di riconoscenza “regala” al suo storico collaboratore Robert Lorenz la regia di “Di nuovo in gioco”, e in più si mette al suo servizio nella parte del protagonista Gus, lo scout di baseball arrivato al tramonto della vita, alle prese con i fantasmi di un passato che non ha mai voluto affrontare. Una storia potenzialmente bellissima che però, in mano altrui, ha uno svolgimento quasi privo di sfumature, e finisce per poggiare totalmente sulle spalle e sull’espressione del vecchio cowboy che, nonostante la parte del burbero e problematico genitore, per una volta si ritrova in un ruolo quasi pacificato, rasserenato rispetto agli ultimi portati sullo schermo. Trama e svolgimento del film seguono un percorso classico, senza troppe intuizioni di regia, con una scrittura piuttosto elementare, e il tono amaro che si respira nella prima scena e che fa immaginare un certo tipo di storia viene subito smorzato dalla scelta di un sentiero più semplice, meno intimo. Come quello che segue ad esempio la storia “parallela” della figlia (molto brava Amy Adams) a cui viene offerta la seconda possibilità. O come quando preferisce essere più conciliante, smussando gli spigoli del personaggio di Gus. Lorenz sfiora tanti temi: quello della vecchiaia, il conflitto le tra generazioni, la “rottamazione” dell’esperienza a favore della tecnologia ma si concentra soprattutto sul rapporto tra padri e figli. Anche se poi finisce per non approfondire nemmeno quello.

Eastwood invece in qualche modo regala a se stesso una parentesi nel suo “mondo perfetto”: le partite di baseball, i bar fumosi dove bere birra e giocare a biliardo, i buoni che per una volta possono vincere. E si concede anche alcuni “siparietti” impedibili in compagnia dei suoi amici di tribuna, un pugno di “vecchietti” con cui si avventura in meravigliose e incredibili discussioni cinematografiche che da sole meriterebbero un film a parte.

PRIMA VISIONE - Esistono palle dritte e palle curve. Palle che finiscono a più di cento all’ora nel guantone senza effetto e palle che invece piegano all’ultimo la loro traiettoria...

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