I “nuovi poveri” in equilibrio precario

E’ un paese in equilibrio precario il nostro, in cui si sta in bilico tra il sogno di avercela fatta a costruirsi un briciolo di stabilità e la realtà che invece rimette tutto in discussione, e al primo “errore” ti dà la spinta che ti fa cadere nel precipizio. Siamo insomma come dei funamboli, camminiamo su una corda tesa da un punto all’altro delle nostre giornate e basta un soffio di vento a farci precipitare. Una disattenzione, una sventura piccola o grande, e tutto va in frantumi. Questa, almeno, nella visione di Ivano Di Matteo, che ha scritto e diretto “Gli equilibristi” (film presentato all’ultima Mostra del cinema di Venezia nella sezione Orizzonti) per raccontare il senso di caduta verso il basso che si vive in questa Italia al tempo della crisi, dove basta poco per perdere posti nella scala sociale e per ritrovarsi sul fondo della graduatoria. Dove poche cose ti possono salvare: un pasto caldo donato dalla parrocchia ad esempio, o la solidarietà di un tuo simile, di un immigrato magari, che agli ultimi posti della “classifica” ci è sempre stato. Questo scoprono i nuovi poveri del nostro tempo nel film di Di Matteo, i padri separati ad esempio, in un Paese dove la “rete” dell’umanità minima sindacale si è sfilacciata e si è ridotta in brandelli e dove la lotta per la sopravvivenza, anche nelle nostre città “di pace” è diventata guerra quotidiana.

Giulio (Valerio Mastandrea) ha un lavoro normale e una famiglia che sembra all’apparenza felice. Due figli e una bella moglie (Barbora Bobulova), la “normalità” sognata insomma. Fino a quando per un suo tradimento occasionale (che si vede nei titoli di testa) si vede crollare tutto intero in testa il castello della sua quotidianità ed è costretto ad abbandonare casa e famiglia. Giulio, padre separato, diventa così in un istante un “nuovo povero”, obbligato a far quadrare i conti del suo piccolo stipendio con la nuova realtà: la ricerca di un appartamento che diventerà via via la ricerca di un tetto qualsiasi sotto cui ripararsi, l’esigenza di mettere insieme il pranzo e la cena, la constatazione, amara, che non esiste più o quasi solidarietà quando ci si ritrova a fare i conti con la sopravvivenza.

Sceglie il tono del dramma Di Matteo, senza aprire mai uno spiraglio di luce fin quando il percorso di caduta del suo protagonista non è compiuto, in un crescendo di tono che va di pari passo con le disavventure che lo colpiscono. In maniera fin troppo “meccanica” però, aggiunge dolore a dolore: è evidente l’intento del regista di voler creare il senso di caduta verso il basso vissuto da Giulio ma la scelta rischia anche di fare perdere il contatto con la realtà che doveva essere l’interesse principale dell’autore. E’ un’opera scarna, anche coraggiosa a tratti, “Gli equilibristi” che però procede in maniera troppo lineare e decisa nella dimostrazione della tesi scelta. Qualche sfumatura in più nella scrittura forse avrebbe giovato, anche se non si può negare l’importanza del tema scelto e non sottolineare il rischio assunto da autori e produttori nella scelta di una storia difficile e attuale, affrontata con serietà. Resta insomma vivo e concreto l’obiettivo di voler “mettere le mani nel presente” per cercare di raccontarlo e questo, di certo, è il pregio maggiore del film.

PRIMA VISIONE E’ un paese in equilibrio precario il nostro, in cui si sta in bilico tra il sogno di avercela fatta a costruirsi un briciolo di stabilità...

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