I giochi di luce nelle stanze di Vailati fanno parlare il silenzio

Grande interesse per la mostra inaugurata sabato all’ex chiesa dell’Angelo a Lodi

Un quadro per sognare, si potrebbe dire di ognuna delle opere che compongono la personale di Vittorio Vailati alla ex chiesa dell’Angelo. E per rivivere e riassaporare. Perché le sue stanze dipinte attingono, sì, agli spazi della memoria, restituendo momenti di vissuto rimasti ad aleggiare dentro case vuote, o che addirittura non esistono più; ma la qualità che si sprigiona dalla sua pittura diventa a tratti anche enigmatica e arcana, assorta nella traduzione di un mondo trascorso, pervaso di suggestioni magiche e umori introspettivi.

Sono stati i numerosissimi visitatori che già in questi primi giorni di apertura si sono lasciati avvincere dalle trentasei opere esposte a ricordare come la città senta il bisogno di mostre di valore, di come il pubblico che altrove diserta o quasi le rassegne sappia riconoscere la buona pittura che, nel caso specifico, viene da una riflessione e un esercizio durati quattro anni, nel tempo abituato all’avvicendarsi senza sosta di proposte espositive, con “serie” di opere sfornate a brevissima distanza una dall’altra.

Curata da Tino Gipponi, le cui parole nel testo in catalogo sono state lette all’inaugurazione di sabato dalla “fine dicitrice” Paola Cremascoli, la mostra aperta dal saluto dell’assessore Mariarosa Devecchi per l’amministrazione comunale ha per motivo conduttore lo studio della luce. Luce piena e diurna, capace di svelare impietosa i segni dell’abbandono con il loro carico di inquietudini; ma anche luce che da finestre socchiuse e porte aperte tra le quali si rincorrono stanze vuote, nel dialogo frequente tra esterno e interno, si fa morbida e soffusa, a tratti crepuscolare, quando si posa sulle pareti e sulle coltri in camere rimaste immobili, in un “dopo” che lascia spazio all’immaginario. L’altra dimensione di questi interni è il silenzio, o meglio l’“Eloquio del silenzio” del titolo della mostra, nelle stanze rimaste vive attorno a ciò che rimane, nel ricordo stemperato nelle opere più recenti in meno definite e più evocative atmosfere, alla ricerca forse di quel pulviscolo del tempo capace di accarezzare cose lontane. Nella compattezza dell’argomentazione tematica, Vailati parla di una riflessione profonda e non improvvisata: nelle scelte figurative, nelle inquadrature, nelle profondità prospettiche e nell’armonia coloristica dei toni caldi, omogeneamente distesi tra ombre e luci secondo una rinnovata grammatica, ha trovato l’accordo tra significato e significante che imprime nel suo linguaggio questa svolta evolutiva.

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