I fantasmi di Ozpetek, “magnifici” e imperfetti

I fantasmi di Eduardo, certo. E i “sei personaggi” di Pirandello, inevitabile. E quelli “a Roma” di Pietrangeli. E molto altro ancora. Molto Ozpetek, e non è una banale questione di firma. Troppo in certi momenti. Perché Magnifica presenza è un film di Ozpetek all’ennesima potenza, con tutto quello che questo comporta. Nel bene, e in tutto il resto. C’è un protagonista che si trova a confrontarsi con un gruppo, c’è una storia corale, una casa che raccoglie e contiene le vicende, una tavola imbandita, le torte e i dolci di pasticceria, persino gli stessi nomi che tornano. E, soprattutto, c’è un nuovo film sul cambiamento, su una trasformazione in corso. La poetica del regista turco-romano tutta intera insomma, che torna in questo nuovo film che pare anche uno dei più personali, forse il più autobiografico addirittura. Si parla di maschere, di travestimenti. E di fantasmi, di incubi irrisolti, di passaggi dell’esistenza liberatori. Tutto questo, e altro ancora si cela dietro la vicenda di Pietro Ponte (bravissimo ancora una volta Elio Germano), giovane siciliano, “straniero” nella capitale, che affitta una casa in un vecchio palazzo nel cuore residenziale di Roma, un appartamento che però scoprirà essere già abitato. Chi sono però le “presenze” che Pietro, pasticciere e aspirante attore, incontra la notte in queste vecchie stanze, svegliandosi di soprassalto, o aprendo semplicemente la porta di una stanza chiusa da anni? Fantasmi? Ossessioni che si materializzano e che prendono corpo, voce e nome addirittura? Gli incubi del protagonista, che poi sono quelli dello stesso regista? Come i “fantasmi” di Eduardo sono inventati o “cercati”? Qui non c’è un dialogo su un balcone a svelare o a complicare l’arcano, c’è un intreccio che si rivela, purtroppo, assai più ingarbugliato, dove a un certo punto irrompe una storia di spie e di rastrellamenti, ingredienti che sembrano appesantire e complicare la seconda parte di un film che fino a un certo punto era parso persino più “leggero” e più risolto. Molti gli ingredienti della poetica del regista che tornano, ma il cinema di Ozpetek è questo, prendere o lasciare: o lo si ama, e si è disposti anche a perdonare cadute vertiginose (vedi la partecipazione di Maurizio Coruzzi-Platinette in una parte su sui ancora ci si interroga) o gli si chiude da subito la porta in faccia. Il sentimento, le emozioni che racconta sono sinceri, sempre, portati sullo schermo con una grande capacità di comporre le scene, le situazioni, che qui diventano addirittura comiche, con toni da commedia. Ma attenzione: Magnifica presenza solo a uno sguardo superficiale può sembrare un film “pacificato”, “leggero” addirittura. In realtà contiene e racconta il travaglio del suo autore, le sue sofferenze che prendono corpo davanti agli occhi del povero Pietro Ponte, costretto a mettersi una maschera proprio come i “personaggi in cerca di verità” che popolano la sua casa.La storia del protagonista gay e irrisolto, che cerca indipendenza e una strada per potersi finalmente liberare non è consolatoria anche se per questa volta è stata scelta una chiave comica per affrontare gli stessi temi in passato difesi e ostentati con più forza e orgoglio. Come detto anche questo è un film che parla di una trasformazione, di un cambiamento. E le chiavi per risolvere l’intreccio, per andare oltre il finale raccontato sullo schermo, stanno appunto nei nomi, nelle tavole imbandite con i dolci, nei simboli e nelle maschere, negli incontri che i personaggi fanno. Stanno in quel continuo gioco di rimandi che crea un filo rosso lungo tutti i film del regista. Che lo spettatore è chiamato a riconoscere e interpretare.

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Magnifica presenza

regia F. Ozpetek, con E. Germano, B. Fiorello, M. Buy, P. Minaccioni

PRIMA VISIONE - I fantasmi di Eduardo, certo. E i “sei personaggi” di Pirandello, inevitabile. E quelli “a Roma” di Pietrangeli. E molto altro ancora. Molto Ozpetek...

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