I dubbi sui “nostri ragazzi”

«Io lo conosco mio figlio. E tu?». Non basta esser stati padri premurosi, interessati, democratici, partecipi. Anche al chirurgo Paolo, pediatra che cura i bambini degli altri in ospedale, verrà un giorno il dubbio d’esser stato un cattivo genitore, d’esser stato sbagliato. Proprio come ha sempre pensato che fosse suo fratello Massimo, il ricco avvocato con pochi scrupoli che lui si è sempre permesso di giudicare. Magari non durante la famosa cena che li riunisce una volta al mese allo stesso tavolo, con le rispettive mogli (una ovviamente colta e impegnata, l’altra bella ed eternamente giovane ed elegante).

La cena si intitola il romanzo di Herman Koch cui è ispirato I nostri ragazzi, il bel film di Ivano De Matteo (Gli equilibristi) che arriva sugli schermi dopo la “prima” alla Mostra del cinema di Venezia. Un’opera densa, tristemente avvincente, anche se naturalmente più schematica del romanzo da cui trae origine. Due coppie di genitori (Lo Cascio e Giovanna Mezzogiorno da una parte Alessandro Gassman e Barbora Bobulova dall’altra), diversi come più non potrebbero essere e i rispettivi figli, sedicenni, un ragazzo e una ragazza che si trovano coinvolti in una faccenda molto delicata, una “bravata” tragica e ottusa che finirà per mettere in discussione la tenuta dei principi morali dei genitori (impossibile svelare di più senza tradire la sorpresa e la tensione che all’interno del film non è parte secondaria).

Attorno a loro, in maniera circolare proprio come a tavola a una cena, si sviluppa la storia del film che De Matteo ha voluto indipendente il più possibile dal libro, a cui resta comunque collegato a doppio filo. Un film di madri troppo apprensive e qualche volta “distratte”, così come di padri assorbiti dal lavoro e da ruoli diversi. Di telefonini che squillano e di computer accesi, un film sul giudizio e sul bisogno di verità. Sulle scelte, quelle giuste e quelle sbagliate, e sui doveri. De Matteo cerca di instillare il dubbio nei suoi personaggi e nello spettatore: solleva le domande, anche quelle che mettono con le spalle al muro. Difficile dare una risposta a una madre che teme per la vita del proprio figlio o, peggio ancora, si accorge di non conoscerlo proprio, come difficile è trovare la forza di ammettere i propri errori. Non si salva nessuno attorno al tavolo di questa “cena”, l’assoluzione resta difficile da conquistare: De Matteo ha il pregio di affondare le mani senza troppa paura in una materia scomoda, assolutamente e tristemente attuale. Parla di famiglia e di figli, e cerca di non cadere nella trappola della retorica. Ha un testo molto forte alle spalle con cui confrontarsi, ma questo potrebbe rivelarsi anche un ostacolo per un regista poco formato: importante è quindi soprattutto il lavoro fatto in sede di scrittura della sceneggiatura che ha permesso di trasportare sul grande schermo l’anima del romanzo attraverso soluzioni convincenti. Un importante contributo arriva dal cast messo in piedi, con Alessandro Gassman che nel ruolo non semplice di Massimo sembra quello più in parte. Nel suo sguardo si leggono i dubbi e le domande che il regista vuole trasmettere su quei “nostri ragazzi” che restano avvolti nel mistero, come in una nebbia.

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