I Coen: lunga vita al cinema

«Una dose di balsamo per alleviare le pene di questa nostra straziata umanità»… No, non è solo questo il cinema, anche se i fratelli geniali cercano in tutte le maniere di convincere lo spettatore del contrario. Un gioco? Un circo? Un carrozzone pieno di “nani e ballerine”? Ma quando mai: nostalgia a parte questo è il cinema, una fabbrica di sogni che si rinnova e si riavvolge come una pellicola (che però rischia di andarti di traverso!) senza fine. Anzi, meglio, questo è il cinema dei Coen: imprevedibile, dissacrante, cinico e pieno di idee che faticano a stare chiuse dentro una sola storia. Eccone servite quindi un mazzo intero, nel cuore della Hollywood anni Cinquanta, dove vive Eddie Mannix, che proprio lì lavora al soldo di un potente produttore: Eddie “risolve problemi” ed è uno dei tanti personaggi di questo film sospesi tra realtà e finzione. Ave Cesare! è così: un clamoroso omaggio al mondo di celluloide, ma anche una serissima riflessione su un pugno di questioni fondamentali, una farsa all’apparenza innocente e allo stesso tempo una discussione che passa dalla teologia all’economia, per finire ai fantasmi del maccartismo. Dopo tutto non erano stati proprio i Coen a piazzare un filosofo su una pista da bowling? E, sempre loro, a riscrivere l’Odissea di Omero per ambientarla nel Mississippi?

Stavolta il cuore di tutto è il cinema, senza troppi giri di parole: quello delle dive capricciose e del tip tap alla Gene Kelly, quello dei western, dove in scena non serve parlare né guardare in camera, ma saltare da cavallo e girare il lazo fa la differenza. In uno studio che potrebbe essere quello di una delle Major dell’epoca d’oro lavora Eddie Mannix che per mestiere risolve guai, inghippi di ogni sorta e ripara i danni fatti da altri. Lui è un buon cristiano, osservante e praticante, e ha il volto di Josh Brolin; tutto intorno si muove invece l’amatissimo circo: la diva fatta a immagine di Esther Williams (Scarlett Johansson), il tenebroso e “stupido” Baird Whitlock (George Clooney) che deve interpretare il centurione romano folgorato ai piedi del Calvario, il regista impegnato e l’attore cane, il matrimonio da combinare e la starlette da togliere dai guai. Omaggi dichiarati, citazioni, generi che si intrecciano, storie vere che diventano leggenda: tutto serve ai Coen per costruire il loro film su questa “invenzione che non ha futuro” («È solo finzione, non ha nulla di reale, e quando la televisione arriverà in ogni casa scomparirà nel nulla…»). Il cinema invece è ancora qui, vivo e in salute, e Ave Cesare! lo passa in rassegna, genere per genere, e quando sembra che la nostalgia possa prendere il sopravvento ecco che il “Coen touch” si riappropria di tutto e spariglia ancora, con i fratelli che giocano a fare gli stolti per graffiare, colpire e affondare. Gli intellettuali salottieri e i figuranti del sottobosco, un mondo intero che si colora di una nota amara che viene solo mascherata da invenzioni come l’irruzione in scena di un sommergibile, sì proprio un sottomarino russo che davanti a Palm Spring carica a bordo uno dei sovversivi comunisti per salvarlo dalla caccia alle streghe. Esercizio di stile? Virtuosismi di maniera? In definitiva è solo “Panem et circenses”, come dice Baird Whitlock, ma non c’è da credergli… Eddie Mannix non lo ha pensato nemmeno per un istante: questo è il cinema, e i Coen gli augurano lunga vita.

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