«Ho messo gli occhi di Liz Taylor

dentro la mia valigia dei ricordi»

Lui gli occhi di Liz Taylor li ha visti davvero da vicino. Ed erano occhi di una donna che ha dato certo abbondante nutrimento a mezzo secolo di gossip, ma anche grandi interpretazioni e un’umanità genuina. Carlo Cotti, uomo di cinema di San Giuliano Milanese, nella memoria e nel cassetto tiene ben strette quelle immagini dell’«ultima diva di Hollywood», che solo lui conosce e ora rivela. Sono scatti in bianco e nero e raccontano anche l’incontro di Cotti con il sogno di tutta la sua vita: stare dietro una macchina da presa a girare film.

«Voglio ricordare Liz esclusivamente come persona bellissima e umana - taglia corto il cineasta di San Giuliano - il resto non mi interessa niente. In queste ore dovrebbero sottolineare oltre alla sua arte l’impegno per il volontariato, l’amore per gli animali e l’essere stata moglie fedele di Richard Burton all’interno di un amore assoluto e forse per questo così contrastato». Carlo Cotti apre la valigia dei ricordi e ci porta nella Roma capitale del cinema primi anni ‘60 o poco dopo: Fellini, Visconti, Rosi, Zeffirelli, Antonioni. Uno schieramento da brividi di maestri stava dando il meglio di sé. In quella capitale della “dolce vita” giunge anche un giovane Cotti alla scoperta della magica arte del set. «La prima volta che conobbi Liz fu nel ‘67 - attacca dunque il testimone d’eccezione - Zeffirelli, di cui ero aiuto regista, girava La Bisbetica domata con Burton e la Taylor. Per quella volta il mio compito era di assistente anche se ero già aiuto regista; ma come rifiutare un lavoro con simili personaggi? Accettai e nel mio inglese, allora veramente “rudimentale”, posi le basi di un’amicizia che continuò». Nel 1968, anno bollente, Burton passa alla regia e si lancia nel non felicissimo adattamento del Doctor Faustus di Cristopher Marlowe: Cotti gli fa da assistente: «Ovviamente c’era anche Liz, giravano sempre assieme. Nello stesso anno passo assistente di regia di John Huston e facciamo Riflessi in occhio d’oro, un notevole dramma militare. Protagonisti, la Taylor e Marlon Brando, divi al massimo della carriera. Il film era totalmente americano, addirittura ambientato in Georgia, ma poi vennero a girarlo a Roma negli Studio DinoCittà sulla Pontinia. Nei primi Settanta ho lavorato con Joseph Losey e ancora ritrovo Taylor e Burton. In Sardegna girammo Goforth-La scogliera dei desideri e nel ‘72 arriva L’assassinio di Trotzky, la storia dell’“eretico” comunista fatto assassinare da Stalin, dove Burton fa Trotzky e Alain Delon il suo killer. È stato il mio ultimo film come aiuto regista». Ma un film - confessa Cotti oggi che certe storie non feriscono più tanto - lo doveva fare proprio con il duo Taylor-Burton: «Eh sì, avrebbero dovuto produrmi loro un soggetto e interpretarlo con me dietro la macchina. Per prepararmi passai anche sei mesi a Londra, in una full immersion nella lingua, abitando in un attico di Bruton Street dove avevano la loro agenzia. E poi? E poi sono subentrate le solite cose di destino miste a un bel po’ di cattiveria umana; non la loro certo. Pazienza, quell’occasione perduta mi ha permesso di rafforzarmi nella professione. Ho rivisto diverse altre volte Elizabeth: una della ultime nel 1985 a Bari al teatro Petruzzelli, sempre con Zeffirelli al posto di comando. Per me resterà sempre giovane, come il suo cane Lassie in quello che rimarrà un classico per tutti i ragazzi».

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