Gli antieroi che salvarono la cultura

Salvate il “soldato Michelangelo”. Mentre gli alleati preparavano lo sbarco in Normandia e la Seconda guerra mondiale si avviava alla sua svolta decisiva un drappello di sette uomini andava in cerca delle opere d’arte da salvare dalla furia distruttrice del Reich. «Questa è una storia vera», è la scritta che anticipa i titoli di testa, la storia dei Monuments men che riportarono a casa la pala di Gand e la Madonna con bambino di Bruges, trafugati insieme a milioni di altre opere da Hitler che le avrebbe volute per il suo “fuhrer museum”. Due storici e un esperto d’arte, un architetto, uno scultore, un mercante e un pilota: questa la squadra mandata in missione direttamente da Roosevelt (in realtà i Monuments men furono più di 400) e raccontata nel film diretto e interpretato da George Clooney (e ispirato al libro Monuments Men. Eroi alleati, ladri nazisti e la più grande caccia al tesoro della storia di Robert Edsel).

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Uomini che non avevano mai sparato a nessuno, né mai lo avrebbero fatto probabilmente, studiosi mandati al fronte nel pieno della guerra per rintracciare i capolavori trafugati da Hitler, perfetti antieroi che vengono raccontati da Clooney con un taglio a metà tra la “sporca dozzina” e l’irregolare “banda” di Ocean Eleven. Clooney tiene per sé la parte di Frank Stokes, lo studioso di Harward che guidò “in battaglia” il manipolo di professori, e per andare sul sicuro (replicando la formula dei film “all star” citati) si circonda di un dream team composto da Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Jean Dujardin e Cate Blanchett.

Molto più vicino a Fuga per la vittoria che non al Ryan di Spielberg Monuments men è un film che solo in apparenza è in completa discontinuità con i precedenti di Clooney: regista, attore e produttore che a Hollywood si è guadagnato (meritatamente) i gradi di autore “impegnato”. E che qui, senza il sostegno di una sceneggiatura forte, finisce però per perdersi, restando impigliato nella ricerca di una cifra stilistica a metà tra Soderbergh e gli amatissimi “maestri” Coen, senza mai poterli avvicinare. Così nel film prevale ovunque una chiave di commedia che suggerisce di continuo che la materia trattata sarebbe “altra” e “alta”, senza però riuscire mai a trasmetterla con un po’ di emozione. Che manca anche, incredibilmente, proprio nella caratterizzazione dei personaggi che restano senza pathos. E alla fine modelli come La grande fuga restano itraggiungibili.

Mentre si combatte per salvare milioni di vite umane, i Monuments men stanno sullo stesso fronte per non mandare in cenere il patrimonio intero dell’umanità, la cultura di mille anni che rischia d’essere sbriciolata. Clooney mostra questi soldati con la pancia e gli occhiali mentre sbarcano sulle spiagge di Normandia quando il sangue si già asciugato, non può e non vuole fare un film bellico, prova a mischiare i generi e imbocca quindi un altro sentiero, che non sarebbe comunque meno importante: nel finale suggerisce che, naturalmente, l’opera di recupero dei capolavori non fu mai portata a termine e nonostante i 5 milioni di pezzi ritrovati di tante opere fu persa traccia. Quadri di Raffaello, di Botticelli, come (ecco l’impegno) le opere che ancora oggi vanno distrutte nei conflitti che infiammano tante parti del globo e vengono catalogate come “danni collaterali”. La domanda che i militari pongono a guerra finita a Frank Stokes è: «ne valeva la pena? Valeva la pena di rischiare la vita di un uomo per salvare “solo” un quadro?». Risposta che come Stokes un qualsiasi visitatore può trovare e dare oggi davanti a uno di questi capolavori ritrovati e salvati.

PRIMA VISIONE Salvate il “soldato Michelangelo”. Mentre gli alleati preparavano lo sbarco in Normandia e la Seconda guerra mondiale si avviava...

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