Giorgio VI e il discorso che cambiò la storia

(11 febbraio) C’è stato un tempo in cui le parole erano importanti, assai più di oggi. Restavano scolpite nella pietra, nel racconto della Storia. Un tempo che lentamente si è trasformato, all’alba della nostra epoca, di pari passo con i cambiamenti obbligati dalle tecnologie e in cui è diventato poi fondamentale come dirle quelle parole, come comunicarle a milioni di persone, che non avrebbero più avuto a disposizione solo il racconto delle gesta, del discorso in una piazza, ma avrebbero ascoltato, sentito direttamente in una piazza moltiplicata all’infinito.

La vicenda di re Giorgio VI, sovrano balbuziente salito al trono d’Inghilterra nel 1936 dopo l’abdicazione del fratello Edoardo, è al centro de Il discorso del re, film diretto da Tom Hooper e interpretato splendidamente da un pugno di attori “illuminati”: Colin Firth il Duca di York in procinto di diventare re, Helena Bonham Carter sua moglie Elizabeth (e quindi madre dell’attuale regina Elisabetta) e Geoffrey Rush il logopedista Lionel Logue che aiutò il sovrano a combattere il suo difetto prima e dopo la salita al trono.

Il discorso del re è il racconto privato di una grande vicenda pubblica, che oggi sembra straordinariamente attuale. Quella di Giorgio VI fu la prima incoronazione trasmessa dalla Bbc, e nel film si trasforma in un simbolo per raccontare l’istante esatto di una grande trasformazione, di un passaggio della Storia.

Il Duca Alberto prima di diventare re era un uomo condizionato dalla balbuzie e dalla disistima di sé causata dallo scarso amore del padre; quando incontra il logopedista Lionel è insicuro e ferito ed è l’ambito “privato” che viene svelato da questo bellissimo film. Tra cronaca, storia e romanzo Il discorso del re è la storia un uomo che non sa parlare ma ha l’ingrato compito di dare voce a un popolo intero. È il racconto-biografia di un grande governante della nostra epoca recente, descritto nel suo lato privato e in parte sconosciuto. Hooper con uno stile molto misurato, senza eccessi, ma filmando spesso con un obiettivo che distorce e rende anche visibile il disagio del Duca Alberto, ha il pregio di svelare un episodio poco conosciuto della Storia e di utilizzarlo per raccontare altro. Il suo diventa quindi, soprattutto, un film sul potere della comunicazione e dei mezzi di informazione. Un film che racconta da un punto di vista particolare la nascita della politica “trasmessa” e raccontata attraverso gli strumenti tecnologici, che l’hanno poi cambiata, trasformata per sempre e condizionata.

Ed è infine anche un’opera che provoca un’incredibile nostalgia per un tempo in cui la cura nelle cose contava, era un fattore importante, sempre. Non stiamo parlando dello sterile rispetto della forma, ma dell’importanza del semplice gesto fatto nella maniera corretta, come ad esempio il parlare davanti a un microfono di uno speaker che quando apriva bocca sapeva di rappresentare la gloriosa emittente per cui lavorava e della cura che per questo metteva nel suo lavoro. Parliamo del rispetto, della stessa identica cura a cui, anche in risposta alla precedente, era tenuto un governante, o un re addirittura. Un tempo in cui le parole erano importanti ma anche il tempo in cui iniziava a essere determinante saperle dire e comunicare. Poi, dopo, questo cammino non si è più arrestato. Poi, negli anni a seguire, la storia racconta che un candidato presidente degli Stati Uniti perse le elezioni perché non era abbastanza telegenico e perché il sudore sul suo labbro che brillava davanti alle telecamere lo rendeva ridicolo e insicuro di fronte al suo affascinante avversario... Poi tutto è cambiato e si è trasformato ed è così che, anche per questo, oggi le parole bellissime del “discorso del re” ci sembrano così lontane, irripetibili.

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