Gag e imitazioni, lo show di Teocoli non delude Lodi

Il Teo Teocoli show è uno spettacolo che offre quello che il pubblico chiede e vuole: una carrellata di sketch, canzoni e imitazioni ormai entrati nell’immaginario comune. Non c’è spazio per la novità, perché il comico tarantino di nascita e milanese d’adozione gioca semplice e senza fronzoli, portando in scena il suo repertorio più noto. Aneddoti e maschere, con la musica a completare il tutto: una formula collaudata, e formazione che vince non si cambia. Del resto, chi venerdì sera ha gremito l’auditorium “Tiziano Zalli” non pretenedeva altro: Teocoli ha fatto Teocoli, niente di più e niente di meno, confermandosi “animale” da palco, in formissima nonostante le ormai quasi 71 primavere sulle spalle. Cantante mancato (era la voce de I Quelli, il gruppo che anni dopo sarebbe diventato il punto più alto del rock progressivo italiano, la Premiata Forneria Marconi), il “battitore libero” per eccellenza del cabaret nazionale non ha però mai riposto nel cassetto la sua passione per la musica: una costante dei suoi show grazie alla presenza dei Dottor B, band di ottimi strumentisti che anche venerdì hanno accompagnato nelle sue divagazioni artistiche. Lo spettacolo parte da lontano, all’inizio degli anni Cinquanta, quando il piccolo Teo (o meglio, Nino, diminutivo del vero nome, Antonio) sbarca a Milano, quartiere Niguarda. Passa l’infanzia parlando uno strano dialetto che nessuno capisce («Spesso mi chiedevano: ma sei africano?») e un’adolescenza travagliata, tra le punizioni di un padre severo per il suo scarso rendimento scolastico e i sogni di un ragazzo che vuole soltanto cantare e stare su un palco, non certo rinchiuso in ufficio dietro una scrivania. La svolta arriva, grazie all’amico Adriano Celentano («lo imitavo in tutto, ogni sera lo aspettavo sotto casa sua in via Gluck»), che poi lo farà entrare nel “Clan”, e alle prime serate sulla ribalta del mitico “Derby” in compagnia di altri mostri sacri come Cochi, Renato e Jannacci. Parte la musica, partono le proverbiali imitazioni. Teocoli dà vita alle sue maschere più riuscite: in successione veste i panni di tre cantanti non vedenti, Ray Charles, Stevie Wonder e José Feliciano, prima della lunga parentesi dedicata a Celentano, «personaggio che imito da oltre cinquant’anni: per vederlo ormai bisogna venire ai miei spettacoli». Il pubblico apprezza e canta, Storia d’amore e poi L’emozione non ha voce. Ma il piatto forte arriva nel finale quando Teocoli indossa la parrucca rossa, la giacca turchese e gli occhialoni di Felice Caccamo, il giornalista sportivo napoletano personaggio di punta di Mai dire gol negli anni ’90. Inizia così il racconto di un surreale viaggio in macchina verso Milano in compagnia degli immancabili Pesaola e Bruscolotti.

Ma non è finita, perché durante i bis Tecoli sfodera un’altra celebre imitazione, quella dell’ex ct della Nazionale Cesare Maldini, sketch cult di Quelli che il calcio. Il campionario è completo: malgrado qualche uscita non proprio felice (l’imitazione di un vecchio professore portatore di handicap) e pochissimi riferimenti all’attualità (solo una frecciatina a Fabio Fazio, reo di non fare mai domande scomode ai suoi ospiti), il pubblico ride e applaude, ricompensato di ciò che chiedeva e voleva.

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