FOTO ETICA L’apertura del festival diventa una festa: «Aspettative confermate»

Il taglio del nastro della 15esima edizione

I fiocchetti arancioni che svolazzano per il centro storico danno un’idea di festa. E di una città unita e desiderosa di trasformarsi ancora in una delle capitali italiane della cultura. Sarà così per un mese: la 15esima edizione del festival della Fotografia etica si è aperta sabato «confermando le aspettative: abbiamo sentito il riconoscimento dell’intera città e delle istituzioni», commenta soddisfatto Alberto Prina, deus ex machina della rassegna. Tanti i visitatori, molti dei quali provenienti da fuori territorio, che hanno scelto Lodi per regalarsi un viaggio tra fotografie bellissime, toccanti e soprattutto “necessarie”, e cercare di capire qualcosa in più della società in cui viviamo. Il “punto nevralgico” dell’edizione 2024 è l’ex chiesa dell’Angelo in via Fanfulla, sede della mostra “Scatti di etica: 15 anni di immagini iconiche”, un percorso che sintetizza perfettamente l’evoluzione del festival a partire dal 2010. Un’esperienza immersiva, grazie ai tre maxischermi posizionati sul fondo della chiesa che ripropongono alcuni dei più importanti reportage proposti nell’arco di 15 anni. Alle pareti le “foto di copertina” di ogni edizione del festival: si parte dal 2010 con lo scatto di Luca Catalano Gonzaga tratto dal progetto “Worldless Children” e si arriva al 2024 con “Kids learning how to ride a bicycle”, foto del polacco Patryk Jaracz che ha vinto la categoria “Single shot” del World report award. Nel mezzo tante altre immagini storiche firmate da mostri sacri del settore: tra questi, Eugene Richards, uno dei più grandi fotoreporter di tutti i tempi, ospite d’onore dell’edizione 2011 con il progetto “War is personal”, e Darcy Padilla, altro nome illustre che nel 2012 portò in città uno dei lavori più originali, emozionanti e commoventi, “The Julia project”. Proprio grazie alla presenza di questi immensi autori, il festival ha intrapreso una nuova strada: da “piccola copia” della rassegna di Perpignan, in Francia, si è trasformato negli anni in una manifestazione unica, un faro – in Italia e in Europa – nell’ambito della “scrittura con la luce”, intesa non solo come forma artistica ma soprattutto come linguaggio per raccontare storie provenienti da ogni angolo del mondo. Uno dei (tanti) meriti del festival è anche quello di avere dato visibilità ad autori “confinati” nei loro Paesi di origine. È il caso, per esempio, dell’argentino Pablo Ernesto Piovano: nel 2015 un suo scatto in bianco e nero, una donna che porta la maschera antigas, fu scelto come immagine simbolo di quella edizione. «Lodi mi ha aperto le porte dell’Europa», ha detto Piovano, ospite sabato in un talk con Alberto Prina e Laura Covelli. Proprio nel 2015, il festival decise di andare controcorrente, affrontando il tema “Il cibo che uccide”, in antitesi all’argomento centrale di Expo Milano. “El costo humano de los agrotoxicos”, questo il titolo del reportage di Piovano, raccontava gli effetti dell’uso delle colture geneticamente modificate e il conseguente impiego indiscriminato di diserbanti in Argentina.

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