FOTO ETICA Il World press photo: immagini che danno voce alle aree “dimenticate”

La mostra aperta alla sala Bipielle in via Polenghi a Lodi

Dal lontano 1955, anno della prima edizione, il World press photo documenta attraverso le immagini gli avvenimenti più importanti, drammatici e spesso “insabbiati” avvenuti a livello internazionale. Immagini entrate nell’immaginario collettivo: basti pensare alla foto del 1972 che ritrae una bambina vietnamita che fugge dal proprio villaggio dopo che erano appena state scaricate due bombe incendiarie al napalm; oppure il giovane che nel 1989 tenta di fermare i carrarmati in piazza Tienanmen; o ancora, la ragazza afgana fotografata da Steve McCurry nel 1985.

Anche alcuni scatti dell’edizione 2023, nella mostra esposta a Lodi nella sala Bipielle in via Polenghi all’interno del programma del festival della Fotografia etica, sono destinati a lasciare una traccia profonda nella storia del fotogiornalismo.

«È capitato spesso che le immagini del World press photo, raggiungendo un pubblico molto ampio, abbiano avuto forti ripercussioni politiche e sociali», ha spiegato Laura Covelli, curatrice delle mostre del festival, durante una visita guidata. Tanti i temi trattati – riguardanti tutti i continenti – e le immagini esposte (oltre 140) che compongono una mostra che ha il grande merito di immergere lo spettatore nella contemporaneità, attraverso reportage crudi e dolorosi ma che talvolta si aprono anche alla speranza di un mondo migliore.

«Da un paio di anni il World press photo cerca di dare voce anche alle aree spesso dimenticate – spiega Covelli -, attraverso il coinvolgimento di fotografi locali che vivono quotidianamente la realtà». È il caso, per esempio, di un collettivo anonimo iraniano che si è formato dopo l’uccisione di una ragazza curda da parte della polizia religiosa. «Un episodio che ha fatto scattare una serie di proteste e che ha smosso le coscienze anche in Occidente».
Una delle foto simbolo è quella di Ahmad Halabizas, che ha ritratto una donna seduta in un bar di Teheran mentre sfida la legge sul hijab obbligatorio. Il premio per la foto dell’anno è andato invece al fotografo ucraino Evgeniy Maloletka per la sua immagine straziante scattata il 9 marzo 2022 durante l’assedio di Mariupol in Ucraina: lo scatto ritrae una donna incinta trasportata in barella fuori dal reparto maternità di un ospedale danneggiato nel corso di un attacco aereo russo. La donna gravemente ferita è deceduta mezz’ora dopo aver dato alla luce il corpo senza vita di suo figlio. « Maloletka (il cui reportage “The siege of Mariupol” è esposto a Palazzo Barni, ndc) è stato premiato per la capacità di raccontare la vicenda con uno stile di “pura news” in una situazione molto drammatica: non fosse stato per il suo lavoro, probabilmente non avremmo saputo nulla di questa vicenda».

Ad aggiudicarsi il premio “Storia dell’anno” è stato Mads Nissen, fotografo danese, con “Il prezzo della pace in Afghanistan”: il lavoro, attraverso nove inquietanti ma bellissime foto, vuole ricordare le difficoltà quotidiane del popolo afghano che vive sotto il regime dei talebani in assenza di aiuti internazionali. Tra i vincitori regionali, anche due fotografi italiani: Simone Tramonte ha primeggiato con “Transizioni a emissioni zero nette”, reportage che mostra le proposte più innovative che potranno permettere all’Europa di diventare il primo continente a impatto zero; Alessandro Cinque è stato invece premiato per il progetto “Alpaqueros” (interamente esposto a Palazzo Barni, scelto anche per il manifesto di questa edizione del festival), frutto di diversi anni di lavoro in Perù e dedicato alle evoluzioni delle famiglie in bilico tra sopravvivenza, tradizioni e sostenibilità.

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