Foto etica, un festival che parla del mondo

L’EVENTO Uno dei principali appuntamenti culturali del Lodigiano torna con la sua 16esima edizione dal 27 settembre con innumerevoli storie che permetteranno ai visitatori di scoprire e vedere la realtà in modo diverso

Ventidue mostre, dieci spazi espositivi, autori provenienti da tutti e cinque i continenti. La 16esima edizione del Festival della Fotografia etica, in programma a Lodi nei finesettimana tra il 27 settembre e il 26 ottobre, si annuncia ricca di novità e di reportage “necessari”, in grado di raccontare e spiegare la realtà caotica e drammatica del mondo in cui viviamo. Ne abbiamo parlato con il responsabile della manifestazione, Alberto Prina.

L’immagine simbolo di quest’anno è firmata dal fotografo palestinese Loay Ayyoub che documenta la tragedia di Gaza.

«È una scelta differente rispetto ai nostri standard: raffigura una donna che tiene in braccio un bambino morto. È uno scatto molto forte, crudo, ma non potevamo voltarci dall’altra parte. Ciò che sta accadendo a Gaza rappresenta la storia più urgente in assoluto. Quando parliamo di fotografia “necessaria” intendiamo proprio questo: mostrare la realtà, anche nella sua efferatezza. Se non pubblichiamo noi un’immagine di sangue, chi dovrebbe farlo? La tragedia Gaza è sempre stata presente anche nelle scorse edizioni, ma ora siamo arrivati a un punto di non ritorno e abbiamo voluto rappresentarla in questo modo».

Un modo “per scuotere le coscienze”, da sempre frase che accompagna il Festival. Quali sono gli altri temi trattati nelle mostre?

«Tanti, tantissimi: il Festival è uno specchio del nostro mondo. Raccontiamo le guerre in atto e i grandi temi contemporanei nella sezione del World Press Photo allo spazio Bipielle. Ma ci sono anche mostre più intime, come quella sulla paternità di Adriana Zehbrauskas o che affrontano argomenti come il lato oscuro del “fast fashion”, più le storie delle Ong».

Quali sono le novità dell’edizione 2025?

«All’ex chiesa dell’Angelo sarà allestita, come lo scorso anno, una mostra multimediale sui primi 15 anni del World report award. Il progetto sarà esteso anche nella sede della Banca Centropadana, per l’occasione ribattezzato “Anfiteatro multimediale”, dove saranno esposte e proiettate le immagini della categoria “Single shot”: vogliamo raccontare la fotografia in modo più contemporaneo. Inoltre, tra le sedi, si aggiungerà la Chiesa del Carmine, dove, in collaborazione con la Diocesi, proporremo una mostra sulla guerra in Sudan in un dialogo tra contemporaneo e classico. Negli spazi dell’ex Cavallerizza verrà esposta una mostra storica, “Srebrenica”, nel trentesimo anniversario del genocidio. Confermiamo inoltre la presenza di tutti i fotografi, provenienti da ogni continente: il calendario delle visite guidate sarà molto fitto».

Quali sono gli autori più importanti?

«Parecchi di loro hanno vinto il World Press Photo: il festival propone i loro reportage in modo completo. Una delle nostre caratteristiche è non cercare necessariamente i grandi nomi, ma i fotografi che raccontano la realtà: l’obiettivo è fare crescere la cultura fotografica e portare Lodi al centro del mondo».

Avete sempre parlato di “Festival della città”: come procede la connessione con il tessuto sociale associativo lodigiano?

«La partenza in concomitanza con “Le forme del gusto” è elemento importantissimo. Lo scorso anno abbiamo avuto un grande riscontro. Stiamo cercando di promuovere l’immagine di una città: il Festival getta luce su Lodi e sulla provincia. Sarebbe interessante che se ne accorgessero tutti».

Il Circuito Off, la manifestazione fotografica che “accompagna” il Festival, continua a crescere.

«Sì: l’Off ha fatto un grande salto di qualità e quest’anno riserverà tantissime sorprese. Porta avanti progetti molto innovativi, uno dei quali, molto interessante, dedicato alle antiche fanzine».

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