
( (foto Ribolini))
Il vincitore del Master Award della 15esima edizione del festival
«My weapon is my camera!» La mia arma è la mia macchina fotografica: così Giles Clarke, il fotografo britannico vincitore del Master Award 2024, ha affrontato l’incontro con uno dei membri delle 200 gang armate che imperversano con violenze, assassinii e rapimenti a Port-au-Prince, capitale di Haiti, dove ha realizzato il reportage “Haiti in Turmoil” (Haiti in tumulto), che gli è valso il premio assegnato dal festival della fotografia etica. Clarke, ospite a Lodi sabato mattina nella sede di palazzo Barni, ha guidato il pubblico ad approfondire le immagini del suo reportage, frutto di un lavoro complicato e pericoloso svolto nel corso di diversi anni. Le foto, molte scattate dal sellino posteriore di una moto che attraversa la città, documentano la situazione di caos totale in cui la capitale di Haiti è precipitata dal 2021, quando l’ex primo ministro haitiano Jovenal Moise viene assassinato e il paese entra in una spirale di illegalità e brutale violenza tra bande, con migliaia di persone uccise e rapite, mentre per le strade imperversano furiosi scontri per il controllo del territorio. Dell’allestimento della mostra fa parte anche un pannello che illustra la storia di Haiti dalla conquista dell’America, al colonialismo francese, ai tempi più recenti. Il fotografo, oltre a commentare le singole immagini, che hanno già in sé una straordinaria forza narrativa, le integra con il racconto di quello che le immagini non dicono, tenendo fermo lo scopo principale del suo lavoro: «Io non fotografo soldati o battaglie, ma la vita della gente». E Clarke racconta il percorso complicato che lo ha portato a conquistare la fiducia delle persone, il fatto che nel muoversi per la città non aveva nessun tipo di security al seguito, la percezione che ormai, per gli abitanti di Haiti, vivere in un contesto di guerra è diventato la normalità. Gli scatti mostrano senza compiacimenti retorici una realtà fatta di scuole distrutte, sanità paralizzata («le ultime immagini sono scattate in un ospedale che subito dopo è stato occupato dalle gang»), una popolazione allo stremo per la mancanza di aiuti umanitari, una situazione dove risulta difficile persino seppellire i morti. «Il World report Award – ha commentato Alberto Prina – è stato pensato per supportare i fotografi e i fotogiornalisti impegnati in un settore che non trova spesso accoglienza nei media tradizionali: un lavoro svolto con grandi sacrifici, spesso a rischio della vita. Sono storie necessarie, ma anche complesse e difficili da raccontare, storie che aprono una serie di interrogativi e di riflessioni».
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