Fo e Lodi, quell’unica volta del Mistero buffo

La sua più famosa giullarata, “Mistero buffo”, l’opera teatrale che più di ogni altra gli spalancò le porte del Nobel per la letteratura nel 1997, fu portata anche a Lodi all’inizio degli anni Settanta, in un periodo storico complesso e affascinante, caratterizzato dall’attività del Movimento studentesco. Dario Fo sbarcò nella città del Barbarossa il 12 aprile 1971, ospite del circolo culturale “La Comune”, emanazione locale proprio del Movimento studentesco. Sulla locandina che reclamizzava l’evento, realizzata dall’architetto Bella Ariano, fu rappresentato, quasi in forma astratta, il tipico giullare medievale, da sempre figura di riferimento di Fo in quanto personaggio capace di dileggiare il potere restituendo la dignità agli oppressi. Lo spettacolo, nato due anni prima, si tenne nella sala che attualmente ospita il Teatro alle Vigne in via Cavour, all’epoca adibita a palestra comunale: «La serata servì per raccogliere nuovi soci nel circolo – racconta Mario Quadraroli, testimone diretto dell’evento -. Fo tenne il suo spettacolo sul ring della palestra. Restò molto colpito dall’ambiente, e per questo si informò a lungo sulla storia della ex Chiesa di San Giovanni alle Vigne: era la prima volta che si esibiva in una chiesa sconsacrata. Si fermò a Lodi anche per cena: andammo alla Trattoria Tanelli in corso Garibaldi, nota per la cucina della cuoca Nicla. Si dimostrò molto disponibile con tutti: in quegli anni c’era molto entusiasmo per la politica e la cultura». Dario Fo tornò nel Lodigiano nell’estate 1996, un anno prima di ricevere il Nobel. Nessuno spettacolo nell’occasione: il drammaturgo, attore e regista partecipò a una manifestazione organizzata da Legambiente a Dresano a supporto del Comitato per la bonifica dei veleni. Nella primavera del 2010, Fo collaborò inoltre con il regista, attore e scrittore lodigiano Giulio Cavalli, reclutato per recitare in “L’Apocalisse rimandata, ovvero Benvenuta catastrofe!”, giullarata d’inchiesta portata con successo sul palco del Teatro Nebiolo di Tavazzano e su quello delle Vigne di Lodi. «Quando mi dissero che avrei potuto lavorare con lui rimasi come un bambino davanti al primo ciuffo di zucchero filato nella vita. Per chi è cresciuto studiando e indossando le maschere Dario era l’inarrivabile scellerato capace di non avere bisogno né di maschere né di orpelli: Dario era una maschera – ha scritto ieri Cavalli su Fanpage.it, rilanciando l’articolo sulla sua pagina Facebook -. Il mio provino con Dario Fo fu la più densa chiacchierata sul senso della risata che mi capitò mai di fare. La più lunga riflessione sul sorriso come puntuta arma contro il potere».

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