Festival, bilancio in chiaroscuro

Sono mancati i giovani. E non fosse stato per le donne - non a caso la fetta più ampia e fedele dei lettori in Italia (specie le over 40), - anche il saldo finale sarebbe negativo. L’edizione appena conclusa del festival dei Comportamenti Umani, giunto alla quarta tappa dopo il precedente “settennato” dei Vizi capitali, chiude con un bilancio in chiaroscuro e qualche sorpresa: fanno flop alcuni big (in primis l’atteso Giuliano Sangiorgi dei Negramaro e il “bestseller” Paolo Giordano), ma il tutto esaurito non riesce neppure a Daria Bignardi e Alessandro Gassman, mentre riempiono le sale autori dai nomi meno altisonanti ma con uno stuolo motivatissimo di ammiratori come lo psicologo-allenatore Piero Trabucchi e il criminologo Massimo Picozzi.

Vale dunque la pena fermarsi a riflettere sul perché di un risultato al di sotto delle aspettative, specialmente a un solo anno di distanza dall’edizione da tutto esaurito (o quasi) dello scorso anno, quando assistemmo a scene da stadio fuori dal teatro alle Vigne per ascoltare la lezione del critico d’arte Philippe Daverio mentre in contemporanea all’auditorium Bpl frotte di giovanissimi e non si accapigliavano per strappare un autografo a Luciano Ligabue, presente a Lodi in veste di scrittore. Difficile trovare risposte univoche, anche per la diversa “resa” dei singoli eventi che rende arduo spiegare - limitandosi all’ambito degli scrittori di media fascia - il ritorno positivo di Gatti e Vitali e quello meno entusiasmante di Biondillo e Carrisi. Indubbiamente la crisi conta poco o nulla, sul fronte del pubblico, se è vero che ancora una volta la partecipazione agli eventi era gratuita; certo l’investimento si è drasticamente ridotto rispetto a dieci anni fa (dimezzandosi da 100 a 50mila euro e con un’erosione di 15mila sul 2012) ma ciò non ha impedito di portare alcuni grandi nomi in città. E qui, forse, sta il punto: bastano i “nomi” a fare un festival di successo?

Evidentemente no, o non più, specie in una realtà piccola come Lodi dove un affollamento di eventi in pochi giorni può risultare indigesto e dove la capacità di accoglienza - in termini di offerta turistica e di svago è limitata e non adeguatamente promossa.

La formula, poi, che privilegia le più economiche presentazioni librarie sul resto (arti visive, musica e cinema), comincia a sentire il peso degli anni; il pubblico - quello dei grandi numeri - accorre davanti a proposte più vivaci e accattivanti mentre storce il naso di fronte a presentazioni-fotocopia di romanzi e saggi che poi non legge. Senza la politica (oggi fra parentesi per le note vicende cittadine) a trascinare le sue “truppe”, poi, anche l’effetto-traino viene meno. Manca inoltre una “cabina di regia” che lavori esclusivamente sulla progettazione del festival durante tutto l’anno, raccogliendo anche i contributi delle migliori risorse presenti a livello territoriale per allestire un programma che sia qualcosa in più di una carrellata di volti; affidare alla sola macchina comunale (pur efficiente e preparata) la gestione di una kermesse del genere, con l’appoggio di un consulente esterno, garantisce la presenza di un certo “parterre” ma fatica a dare sostanza, sul lungo periodo, a un progetto che si radichi davvero al territorio (quest’anno ad esempio, si poteva pensare di promuovere appuntamenti legati al centenario verdiano prendendo spunto dalla lodigianissima Giuseppina Strepponi che del Maestro fu la seconda moglie).

Per la nuova amministrazione che uscirà dalle urne c’è di che riflettere anche alla luce del diradarsi delle risorse pubbliche e delle fatiche di quelle private a sopperirvi.

Il festival rimanga, ma forse è ora di ripensarlo e rilanciarlo.

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