Dürer, Goya e Rembrandt:

Lodi ospita i “veri maestri”

«Una rassegna importante anche per chi con umiltà voglia iniziare a percepire i valori senza confusione»

Quando Tino Gipponi ci mette lo zampino, i capolavori sono assicurati. Lo scrittore e critico lodigiano porterà nella città del Barbarossa, presso il Museo della Stampa Andrea Schiavi, dei “giganti” della stampa d’arte antica: sessanta opere dei “veri maestri”, tra questi Dürer, Goya e Rembrandt. L’evento sarà inaugurato il 26 settembre alle 16.30 e terminerà il primo novembre.

LA “MOSTRITE” DILAGANTE

Un’esposizione quella di Tino Gipponi all’insegna del “principio di distinzione”, che lo scrittore considera sacro. E in netta antitesi rispetto a quella che definisce “mostrite dilagante”. Ovvero: il moltiplicarsi di esposizioni dove conta più la quantità che la qualità.

«Principio distintivo questo che raramente capita di vedere rispettato - spiega Gipponi -, tanto è allargato il fenomeno della mostrite, che insieme alla assenza di valutazione ed elaborazione critica riduce il dovere competente di una scelta sensibile della qualità. Ne risulta un caravanserraglio espositivo dove a prevalere è più la quantità, spesso respingente flumen lutulentum di sovrapposizioni, dissolvenze e confusione con indirizzi disordinati o concezioni senza senso e senza idee. Solo la qualità determinata dal giudizio di valore giustifica la necessità di un’esposizione».

«Jean Clair e Robert Hughes - aggiunge Gipponi - insegnano da critici severi di come questa paccottiglia contemporanea, o meglio di antiarte, sia totalmente sprezzante del concetto assoluto a cui deve tendere l’arte, ovvero la filocalia, l’amore della bellezza, in qualsiasi forma si manifesti. Bellezza per dire poesia, un’arcana virtù che Dürer dopo tanta applicazione in studi asseriva di non conoscere: “ma che cosa sia la bellezza, questo non lo so”».

Questa mostra è stata possibile grazie alla collaborazione del collezionista Giuseppe Simoni di Pavia, appassionato conoscitore e anche competente. «Collezionisti non si nasce - commenta Gipponi -, si diventa a poco a poco con l’orizzonte di attesa per diventare vero connoisseur, con studio e comportamenti coerenti per raggiungere infine il grado di competenza cui contribuisce la sensibilità che alberga, con diverso peso, in ciascuno di noi, sensibilità che detta il gusto e non viceversa». Ecco perché lo scrittore ricorda a citazione di Roberto Longhi, “acquistare un’opera d’arte può essere il più eloquente esercizio di critica”.

L’ESPOSIZIONE

La rassegna, spiega Gipponi, inizia con Wolghemut, alla cui bottega apprese i primi rudimenti dell’arte grafica Dürer, «genio universale e insuperabile incisore, qui presente con due xilografie in rilievo dagli ineguagliabili effetti luministico-chiaroscurali e cinque esemplari con la tecnica diretta del bulino, ora raramente utilizzata, da maestro assoluto e innovatore». Proseguendo nel percorso incontriamo Marcantonio Raimondi con il magistrale bulino tratto da un’opera di Raffaello «dove risalta la perizia, non da semplice divulgatore con stampe di riproduzione o di traduzione di lavori di altri artisti»; Lucas van Leyden, «con cinque bulini di tecnica virtuosa con il gusto descrittivo del dettaglio».

E ancora: il capostipite dei Bruegel, Pietro il vecchio e i fratelli Annibale e Agostino Carracci, quest’ultimo dall’intensa attività di provetto incisore. «E poi il classicista Guido Reni per giungere all’altro gigante, assiomatico come Dürer nella storia della stampa d’arte: Rembrandt Harmenszoon van Rijn, superbo nei prodigiosi risultati e nell’utilizzo delle tecniche calcografiche con interventi, sullo stessa matrice di acquaforte, bulino e puntasecca: indiretta la prima e diretta l’ultima come il bulino e la maniera nera. Nove i fogli, di irrefutabile valore, in cui risulta la personalità dell’artista olandese consacrato maestro per intere generazioni. Dai contrasti chiaroscurali e dalle ombre fermate nel buio affiora la luce con la magia di un’apparizione, luce imbevuta, interna alla determinazione del segno o alla densità dell’oscurità, anch’essa abitatrice di poesia».

La carrellata “gipponiana non finisce qui. A corona della rassegna altri autentici artisti come Hopfer “Maestro del candeliere” seguace di Dürer; il messale con quattro tavole del mantovano Giorgio Ghisi; l’Annunciazione di Goltzius; Castiglione il Grechetto, Contarini “il Pesarese”, Salvator Rosa pittore e poeta avido di gloria e uomo scontento; Giovanni Battista Piranesi con tre vedute di Roma, Giandomenico Tiepolo più bravo nell’incisione del padre Gianbattista, e infine Goya con tre acqueforti e acquatinta della serie Los Caprichos pubblicata nel 1799.

IL MONITO FINALE

«Una mostra importante non solo per chi capisce il valore artistico, ma anche per chi appassionato e con umiltà voglia guardare e iniziare a percepire i valori e ad apprezzarli senza confusione», conclude Gipponi. «A questo crocevia le opere parlano da sole, senza soccorso di intermediari, con la forza espressiva e poetica dei singoli artisti nel ritmo espositivo lontano dall’affastellamento della quantità, quando per quest’ultima “l’aggiungere prevale inevitabilmente sul togliere con risultati massacranti”. Parole di Giuliano Briganti. Condivisibilissime».

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