Dolore, malattia e... sorriso. Francesco Bruni racconta come si può rinascere

LA RECENSIONE: Il film del regista toscano disponibile sulle piattaforme online

Bruno è un regista di commedie che non fanno ridere e che non incassano. Ha una moglie (da poco ex), una figlia adolescente forte e indipendente e un figlio “fragile” come lui. Non riesce a farsi produrre il film che vorrebbe fare, è debole e un po’ infantile e un giorno scopre d’essere malato e di dover affrontare un trapianto di midollo per salvarsi la vita.

Francesco Bruni accetta di scalare una montagna: perché questo è decidere di fare un film che parla di malattia, dichiaratamente autobiografico, come “Cosa sarà”. In cui raccontare (e nel frattempo raccontarsi...) una cosa difficile come l’ospedale, il dolore, la paura, usando le armi della commedia. Le sue - di armi - quelle messe al servizio prima dei film di Paolo Virzì e poi di quelli firmati in prima persona.

Riesce a raggiungere la vetta? Andiamo per gradi ma bisogna partire dalla fine, da quella dedica - bellissima - a Mattia Torre che ha diretto uno dei film meglio riusciti sullo stesso tema (“La linea verticale”, guardatelo se non lo avete ancora fatto) prima di lasciarci troppo presto. Dalla fine e dal titolo che avrebbe dovuto essere “Andrà tutto bene”, frase diventata poi slogan in tempo di quarantena, cambiata in corsa con il più realistico “Cosa sarà”.

Commedia, sorriso amaro e sincerità per raccontare la cosa più difficile di tutte: il dolore, la paura della morte, la rinascita. Bruni accetta la sfida e già per questo merita un plauso. Il suo è un film difficilissimo da fare che ha innanzitutto un pregio: non appare mai finto e ricattatorio. E non è poco. Più complicato è trovare il punto di perfetto equilibrio tra i due registri, ma questo il regista e sceneggiatore toscano lo sa bene, al punto da sintetizzare lui stesso il concetto - e il senso del suo lavoro - nell’immagine del protagonista (molto in parte Kim Rossi Stuart) che “cammina sul filo” di una ringhiera scelta anche per il poster del film. La sfida è insomma non rimanere prigionieri dell’equivoco, a metà delle due strade.

Bruni racconta quindi l’ospedale e dai piccoli dettagli si capisce che lo fa soffrendo, mettendosi in gioco. È anche brutale a tratti in questa parte del suo racconto, non risparmia molto della sofferenza del protagonista e non ha paura di mostrarsi fragile insieme a lui. Meno riuscita è invece la parte onirica, anche se altrettanto personale. Ma rischia di rovinare il lavoro fatto fin lì.

Poi però sposta l’attenzione per non restare “impigliato” e costruisce dei percorsi paralleli che sono quelli che fanno prendere quota al film. I legami familiari, i padri incapaci d’essere genitori e le donne che invece possono salvare il mondo con la loro forza. E infine il ritorno a casa, nella sua Livorno, dove Bruni trova un’altra storia parallela con cui riesce a dare una forma alla parola rinascita. Portando contemporaneamente in porto il film, come quella dottoressa che mette tutti quanti i suoi pazienti su una barca per riprendere - simbolicamente con loro - il mare.

Cosa Sarà

Regia F. Bruni

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