Diaz, la notte della Repubblica

Diaz, cronaca della notte più buia della Repubblica. Quella in cui tutti gli elementari diritti acquisiti di una nazione democratica sono caduti, affogati nel sangue dell’ormai nota “macelleria messicana”.

Diaz, diretto da Daniele Vicari torna al 21 luglio del 2001 e sceglie di raccontare attraverso una storia corale, incrociando le vicende di diversi protagonisti, la notte dell’irruzione alla scuola dopo il pomeriggio d’inferno del G8 di Genova. Prende diversi volti, storie differenti per allargare il punto di vista, conservando un taglio tra cronaca, documentario e fiction. Nella notte della Diaz raccontata da Daniele Vicari si incontrano quindi il giornalista Luca, arrivato dopo la notizia della morte di Carlo Giuliani, la tedesca Alma anarchica che ha partecipato agli scontri del pomeriggio, il francese Nick a Genova per partecipare a un seminario di economia, Marco che è tra gli organizzatori del Social Forum e Anselmo che invece è un anziano militante del sindacato. Ci sono persino Ralf e Bea che con il G8 davvero non c’entrano nulla e alla Diaz ci sono finiti per caso. E c’è Max il poliziotto che è alla guida di uno dei reparti protagonisti dell’irruzione. Tutti “simboli”, nomi inventati per raccontare quelli veri, che sono noti e che davvero hanno vissuto il dramma di quella notte. Protagonisti “immaginari” solo nella forma che non allentano di un grammo il peso del dolore e delle responsabilità, il carico drammatico di un episodio che si può considerare centrale nella vita del Paese, uno snodo, la curva del sole dopo cui, all’alba, l’Italia si è svegliata cambiata per sempre.

Vicari riscopre una certa maniera di fare cinema “civile”, racconta, con una forza drammatica impressionante. Non vuole (e non può) rifare processi, istruire una nuova indagine, utilizza parte di quella montagna di testimonianze che esistono e che fanno del G8 uno degli episodi con un archivio di video, fotografie e parole tra i più imponenti al mondo. Non vuole tornare a ritroso a responsabilità già date per acquisite nei tribunali, ma preferisce porre le domande che ancora sono mancate all’interno del dibattito nazionale su quei giorni. Non si perde nei vicoli chiusi delle rispettive rivendicazioni, del “raccontate però cosa è successo prima di quella notte, dite chi ha fatto e cosa... chi ha iniziato prima…», che sono tema della giustizia e della ricostruzione già fatta dai cronisti. Utilizza fiction e stile documentaristico per concentrarsi sulla notte della Diaz e porre le domande e attraverso le immagini scuotere le coscienze. Interroga, mette al centro la vera questione: come può esser stato che in una nazione occidentale, in una notte di solo undici anni fa, i diritti e la democrazia di un Paese siano stati sospesi all’improvviso, per cieca voglia di vendetta, o per chissà cosa altro ancora. Il film di Vicari non è ideologico e non fa sconti, infatti ha fatto arrabbiare ugualmente da questa parte e dall’altra della barricata quelli che ancora stanno presidiando il “confine”. Mostra le responsabilità degli uomini in divisa e le devastazioni dei manifestanti e si libera da subito dalla scelta di campo, dal decidere “da che parte stare” per piazzarsi in un equilibrio scomodo nella posizione di chi non desidera prendere una posizione per restare il più lucido possibile. Tra le mani ha capacità tecniche e drammaturgiche notevoli, che trasformano il suo film in un’opera di impegno davvero “alta”, che raccoglie l’eredità di Rosi e Costa Gavras. Mostra scene forti, volutamente disturbanti, per amplificare l’effetto di quella domanda originaria: come può essere capitato? Per ribadire l’imperativo del sottotitolo: “Non pulite questo sangue”. Per non cancellare, per non dimenticare.

PRIMA VISIONE Diaz, cronaca della notte più buia della Repubblica. Quella in cui tutti gli elementari diritti acquisiti di una nazione democratica sono caduti, affogati nel sangue dell’ormai nota “macelleria messicana”

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