Degani e la cattedrale di Lodi

Mezzo secolo fa si concludeva a Lodi l’imponente campagna di restauro della cattedrale, avviata nel 1959 sotto la direzione di Alessandro Degani. Non sono molti i lodigiani a ricordarlo. E ancora meno sono coloro che ricordano Degani come l’artefice di una scelta che oggi si può benissimo definire coraggiosa. Quella di aver fatto piazza pulita di quel pesante barocco che faceva del Duomo una chiesona di campagna.

UN RESTAURO AUDACE

I primi anni Sessanta, dopo la ricostruzione, furono anni di accese polemiche, non tutte disinteressate, che investirono Degani, nominato dalla Soprintendenza curatore dell’imponente restauro. Fu lui a scegliere con audacia di vedere cosa si nascondeva sotto ai barocchismi posticci del Duomo, facendone pulizia, con la sola eccezione per le colonne in marmo nero che sorreggono la cripta. Fece di più: ricostruì da zero le parti mancanti, inserì un coro dietro l’altare maggiore, spostò il vascone del battistero da una cappella laterale in piazza Broletto, inserì nuovi arredi e strutture rintracciate in altre chiese cittadine, come la tomba Vistarini un tempo conservata in San Lorenzo, o la porta dei canonici, strappata da un palazzo di via Legnano, chiamò il grande Aligi Sassu a decorare l’abside, inserì corpi moderni in bifore antiche. «Un falso storico», gridarono alcuni, dimenticando che il “falso” era cresciuto con la chiesa stessa. Filologicamente, l’opera di Degani non avrà rispettato molto i canoni in voga negli anni Sessanta: ma il risultato è di avere restituito alla città una vera Cattedrale, che oggi molti ci invidiano.

LE ORIGINI DEL DUOMOLa storia del Duomo di Lodi è fatta a “tappe” o a “porzioni”. La conquista di Milano ne favorì la costruzione. Dalla prima pietra posata nel 1158, nel 1163 l’opera si trovava a buon punto quando il 4 novembre dello stesso anno, con solenne cerimonia, vi vennero trasportate da Lodi Vecchio le spoglie di San Bassiano. La facciata fu ultimata nel 1183 assieme alla parte alta della muratura delle navate, le volte a crociera nella seconda metà del XIII secolo. A partire dal XIV secolo si intervenne sulla struttura originaria con l’apertura di alcune cappelle gentilizie. cui nel XV secolo si aggiunsero il cortile dei canonici. Un secolo dopo all’abside di sinistra fu addossata una cappella ottagonale in stile bramantesco, mentre in facciata si aprì un’ampia trifora nella navata di sinistra.

L’intervento più radicale si ebbe a partire dal 1760, quando fu attuato il progetto dell’architetto Francesco Croce. Furono rifatte le volte della navata centrale e ricoperte con decorazioni a stucco, così come i pilastri in laterizio. Nel catino absidale vennero cancellati gli affreschi eseguiti due secoli prima da Antonio Campi ( un vero delitto!). Nel 1764 anche le navate laterali subirono trasformazioni e resero irriconoscibili i tratti stilistici originari. Il risultato fu un barocco, ma non rigoroso. Mantenuto fino al 1958, all’avvio del recupero progettato da Degani.

IL PLAUSO DELL’ESPERTOQualche anno fa il professor Eugenio Guglielmi, preside della facoltà di Architettura di Milano, reintrodusse attenzione ai temi del dibattito specialistico (La Cattedrale di Lodi, Il Poerio, 2001), attorno ai criteri e agli orientamenti che guidarono l’opera di recupero dell’organismo romanico. E, correttamente, pose l’accento anche sulle “imprenscindibilità”. Nella sua struttura del Settecento la cattedrale si trovava in pessime condizioni. Abbisognava di «risposte concrete e immediate».

La Sovrintendenza privilegiò il progetto di recupero dell’organismo romanico. E Degani restaurò tutto quel che trovò di romanico. Dove avrebbe dovuto fermarsi? All’origine di queste distinzioni, c’è la dibattuta dicotomia che persiste nel mondo del restauro tra “immaginazione artistica” e “immaginazione scientifica” e la non ancora raggiunta univocità di definizione di “stato di conservazione”. «Il restauro operato dal Degani – riconobbe Guglielmi - è un esempio didattico per seguire lo sviluppo del pensiero tra teoria, scienza e prassi. La sua scelta si mosse tra uso di criteri estetici piuttosto che di criteri ispirati alla sola corretta conservazione dell’architettura storica, attraverso tutte le vicende che l’hanno caratterizzata nel tempo».

Aldo Caserini

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