Da De Andrè ad Al Bano,

le hit firmate De Stefani

Al piano di sotto il suo pianoforte nero fatto a mano (Steinway, naturalmente) e gli spartiti di Bach, al piano di sopra tastiera, computer con maxi casse e libri. Quando guardi Gino De Stefani ti accorgi che la musica sgorga da dentro, dalla testa e dal cuore, ma poi si diffonde in modo familiare tutto attorno a lui. E scopri che la musica è il principio fondamentale con cui interpreta il mondo. Quante canzoni avrete ascoltato che portano la sua firma? Quante pubblicità? Gino De Stefani è quello che ha siglato successi come Felicità di Al Bano Carrisi (con Minellono e Farina), una delle canzoni italiane più conosciute al mondo, oppure come Incancellabile di Laura Pausini. Oppure ancora come Io vivo qui di Domenico Modugno. Ha avuto l’onore di conoscere e lavorare con moltissimi artisti che hanno fatto la storia della musica italiana, Fabrizio De André in testa.

Milanese di nascita ma trevigiano d’origine, semplice e con la battuta pronta, vive a Boffalora d’Adda. Per una sera ci ha aperto la porta di casa, tra ricordi, risate e curiosità. «Volevo suonare da tutta la vita». Quando lo dice si percepisce il desiderio che deve avere provato e la convinzione con cui l’ha assecondato. «Avevo 6 anni. Ho chiesto ai miei genitori di poter fare il conservatorio e mi hanno risposto “no, vai a scuola”». La sua era una famiglia molto povera, il padre ha lavorato per diversi anni in Belgio come minatore. Si ricorda ancora di quando il papà comprò alla fiera degli Obei Obei una fisarmonica, chiedendo il permesso alla moglie Lena perché costava 20mila lire ed era un grosso sacrificio. Non è un caso che abbia imparato a suonare questo difficile strumento, da autodidatta, e che alcuni esemplari facciano capolino qua e là nella sua villa.

Per Gino De Stefani la musica è stata più forte di tutto il resto. Così, anche se ha studiato medicina, non si è mai “dimenticato”di (in)seguire il suo sogno. In prima media costruì la sua prima chitarra, con il traforo e le corde di nylon, poi gli regalarono una Eko (inaccordabile, come dice lui). Così la chitarra fu il suo primo strumento e, anche se dovette corteggiarlo, il maestro Filippo Daccò fu il suo primo insegnante il quale, come si suol dire, gli fece un gran “mazzo”. A quei tempi aveva già scritto Felicità. Anche se fin da ragazzo si appassionò al pianoforte e lo utilizzò per comporre, lo studio approfondito arrivò più tardi, a 50 anni, con il maestro Massimo Colombo.

Il primo contratto lo siglò a 19 anni, con la mitica Durium. «Non sono mai stato un animale da palcoscenico», confida ridendo, se ne rese conto fin dalla sua prima esibizione al Santa Tecla di Milano. Per un certo periodo, comunque, ci provò, tra ansia e tensioni, «poi basta, insomma, ma chi me lo faceva fare, io volevo scrivere la musica».

Dal libro dei ricordi escono tantissimi aneddoti. Dall’incontro con un Vasco Rossi degli esordi che andava “al massimo” agli anni trascorsi a casa del paroliere Popy Minellono, al quale è molto affezionato: «Avevo 23 anni e per tutti ero il “ragazzino”». Fu in quel frangente che conobbe De Andrè e Dori Ghezzi, con la quale è rimasto in contatto. Una sorta di seconda famiglia. E così, nota dopo nota, fino alla collaborazione con Laura Pausini, quasi casuale. Per lei ha scritto Incancellabile e Le cose che vivi, quest’ultima ha vinto il premio Ascap 1998, l’album vendette più di 8 milioni di copie. Nella super lista ci sono anche Raffaella Carrà, Fiorello, Loredana Berté, Dori Ghezzi, Ricchi e Poveri. Non sono mancate le collaborazioni con il grande schermo e, soprattutto con la pubblicità, con musiche per Kinder Ferrero, Honda, Findus, Enel, Pirelli, Carmencita Lavazza e forse per citarle tutte ci vorrebbe un altro articolo. Oltre al legame con L’Erbolario, nato attraverso delle composizioni pensate per gli eventi organizzati dal “tempio della bellezza”.

«L’ispirazione arriva in un istante», spiega il musicista, a volte è necessario prendere appunti, anche sull’iPhone. L’industria musicale è, per usare un eufemismo, cambiata. La rivoluzione di Internet l’ha travolta e forse, pensa De Stefani, si è fatta trovare impreparata, o ha sottovalutato la sua potenza. Un mondo, quello dell’industria musicale, che sa essere anche spietato, lo dimostrano le cause milionarie per plagi o brani “rubati” che durano anni.

Il simbolo dello “stravolgimento” è il pc al centro del suo studio e i programmi che lo animano: per un’ora “giochiamo” a comporre quello che chiamiamo Chiara groove, con tracce di piano, batteria e basso, ma potremmo scegliere una combinazione infinita di strumenti. E aggiustare anche una voce stonata (non la sua, ovviamente, semmai quella di chi scrive).

Nel discutere di “talent show” scatta inevitabile la domanda sulle star che inserirebbe nella sua “top 10”. Stevie Wonder e Whitney Houston, ecco i primi due miti che escono “di getto”. La carrellata continua, ma s’insegue anche il passato, con la perfezione di Bach, con Wagner e Mozart.

Guardando indietro, ma soprattutto sbirciando in avanti, la filosofia di Gino De Stefani è semplice: «Migliorare, sempre. Diventare più consapevoli». Che poi, che bel mondo sarebbe, «se tutti facessero così».

PS: De Stefani in queste settimane sta lavorando a un progetto “top secret”: ci ha fatto sentire in anteprima un “assaggio”, quel che è certo è che sentiremo presto parlare di lui.

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