Crialese, migranti e italiani

in cerca di un “approdo”

Applausi per “Terraferma”, primo italiano in gara

Se si dovesse immaginare di ambientare oggi una nuova Natività nessun altro posto all’universo sarebbe più adatto delle coste italiane dove il mare restituisce centinaia, migliaia di migranti in cerca di un ripario, di un rifugio e di un posto dove vivere. Questo deve essere stato il pensiero di Emanuele Crialese quando ha scritto il suo Terraferma, il primo dei film italiani in concorso a Venezia 68, presentato ieri e accompagnato da sinceri applausi. Un’opera sull’accoglienza che ha il coraggio di affrontare un tema forte e impegnativo, diretta dal regista siciliano senza la paura di esporsi a più di un rischio e di prestare il fianco a critiche che non tarderanno ad arrivare. Crialese torna nel mare e sugli scogli di Respiro per raccontare di immigrazione e di un dramma già dimenticato, un “caso” che appare nel nostro Paese lontano e “politico” anche se accade oggi, qui e adesso e ci vede coinvolti in prima persona, molto più di quanto tutti crediamo. Su un’isola delle nostre vacanze il dramma smetterà d’essere cronaca giornalistica e diventerà realtà per Filippo, sua madre Giulietta e il nonno pescatore Ernesto quando durante una battuta di pesca la barca di questo intercetterà un gommone di migranti alla deriva. Contravvenendo all’ordine della Capitaneria Ernesto interverrà per salvare alcuni disperati gettatisi in acqua finendo per accoglierne una (Sara, incinta) a casa e facendosi anche sequestrare il peschereccio dalla Guardia di finanza, con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Le regole del mare entrano in conflitto con quelle dello Stato così come tutto il mondo antico, “primitivo” di Ernesto si vede improvvisamente superato, non tanto “dall’orda” di clandestini in arrivo quanto da quella assai più pericolosa dei turisti e della modernità, che ad esempio sta costringendo sua figlia Giulietta a sognare la terraferma e il nipote Filippo a immaginare un futuro lontano dal mestiere degli antenati. Crialese tratta il tema schierandosi apertamente e separando in maniera troppo netta (dal punto di vista narrativo, si intende) cos’è giusto e cosa è sbagliato. Il suo film è coraggioso e civile, e ha il pregio di non nascondersi davanti a un argomento forte e complesso; paradossalmente dove convince meno è proprio sul versante stilistico che in passato era stato invece il tratto distintivo del regista siciliano.

Funziona ad esempio quando il racconto si concentra sulla figura di Ernesto, il pescatore, quello che sembra avere le idee più irragionevoli sull’argomento, ed è in realtà quello che si basa sulle norme più antiche in assoluto, quelle che dovrebbero essere di dominio comune. «Sul tema dell’immigrazione sia lo Stato che certa informazione danno risposte inadeguate – ha detto Crialese in conferenza stampa -. Lo stato perché risponde con delle norme che negano leggi e principi inderogabili, come quella che non si può non soccorrere la gente per mare. L’informazione perché racconta queste cose come se riguardassero altri. E finisce per liquidarle e le sintetizzarle in poche parole».

© RIPRODUZIONE RISERVATA