Ciceri, contro il dolore per la fisarmonica

Cinquant’anni fa era volto e musica dei “trani”, le osterie meneghine. Poi la famiglia, un lavoro di responsabilità e l’aggravarsi di una forma di artrite reumatica che gli impedisce l’uso completo delle mani hanno preso il sopravvento. E la fisarmonica è finita nell’armadio, fino a quando, a ottant’anni e con tre dita della destra fuori uso, l’uomo ha ripreso a imbracciare l’amore di una vita, che da qualche anno lo accompagna in concerti occasionali e interventi musicali alle messe di Zivido. La prima fisarmonica, il sangiulianese Carlo Ciceri l’ha presa in mano prestissimo, sfidando l’autorità del padre che «voleva che la suonasse mio fratello maggiore, e io non dovevo neanche toccarla - spiega -. Invece mia madre, quando doveva lasciarmi solo a casa per qualche momento, me la metteva in mano per farmi stare buono. Non avevamo la radio. Un vicino di casa la accendeva ad alto volume perché la sentissimo anche noi: io prendevo la fisarmonica e seguivo le musiche che sentivo, a orecchio». I primi passi con lo strumento Ciceri li ha fatti tutti da solo, nella casa di ringhiera nel quartiere milanese di Precotto. I maestri sono venuti dopo. Nel frattempo, la lotta più dura era quella contro un’artrite reumatica acuta che, prima di venire diagnosticata, «mi ha fatto perdere un sacco di mesi di scuola. A sei-sette anni, stiamo parlando del 1938, ero sempre in ospedale. I medici mi isolavano perché pensavano fossi contagioso». Grazie a una diagnosi finalmente corretta, il problema è rientrato e la gioventù dell’uomo, nella Milano prima sotto le bombe e diventata poi l’operosa metropoli del Dopoguerra, era quella dei tanti giovani con pochi soldi in tasca e tanta voglia di farsi valere. «Fin da piccolo ho fatto il garzone dal barbiere. Aprivo alle 5.30, per fare la barba ai paesani che poi andavano nei campi. Andavo a scuola e nel pomeriggio studiavo sul retro. Intanto davo una mano». Il primo di una sequela di lavori, fino all’approdo in Pirelli e, nel 1962, il trasferimento a San Giuliano Milanese, dove al quartiere Serenella stava aprendo la Pirelli Cavi. Di giorno gran lavoratore, di notte musicante d’osteria: «È così che ho conosciuto mia moglie Valeria - racconta mentre gli occhi si illuminano -, friulana venuta a Milano per un matrimonio. Ci siamo sposati in fretta e furia: per tanto tempo ho suonato nei fine settimana per pagare le cambiali del mobilio con cui avevamo arredato casa...». A metà anni Sessanta Ciceri, un talento musicale che spazia dalla classica alle melodie ballabili, ha suonato in dischi di Nanni Svampa. Un lavoro sempre più impegnativo, per qualche decennio, l’ha costretto ad abbandonare le sette note. Intanto l’artrite si faceva sentire: «Nel 2003 ho conosciuto la dottoressa Donatella Menta: è merito suo se ho ripreso a suonare». Il miracolo è datato gennaio 2009, una sera che Ciceri ricorda come se fosse oggi: «Ero sul divano con mia moglie e stavamo guardando un film in cui un personaggio suona la fisarmonica. Mia moglie mi ha guardato e mi ha detto “Carlo, provaci”. Io non riuscivo a muovere la maggior parte delle dita, non pensavo di riuscire. “È la tua passione, prova”, mi diceva Valeria. Così sono andato in camera e, senza farmi sentire, ho visto che ce la facevo. A quel punto sono tornato di là e le ho suonato Non ti scordar di me. Ci siamo abbracciati piangendo tutti e due». Da allora non ha più smesso: l’anno scorso si è esibito in una sala Previato piena per l’occasione. E spesso suona in parrocchia Santa Maria. Purtroppo ora il dolore alla spalla fa temere che la carriera sia veramente giunta al capolinea. Ma... mai dire mai: «La mia forza è la voglia di reagire, di lasciare un’impronta. Suonare con due dita per me significa far vedere che bisogna dare fiducia alla vita».

© RIPRODUZIONE RISERVATA