La maschera “furba” di Checco Zalone

(4 febbraio) Non è un paese per “intelligenti” probabilmente, quello che si specchia beato, senza riconoscersi, in Che bella giornata, il film-fenomeno di Checco Zalone, capace a sorpresa di polverizzare ogni tipo di record di incassi al cinema in questo scorcio di stagione. Si guarda, ride (giustamente), chissà se ammette d’essere l’oggetto dello sberleffo per nulla ingenuo di quel furbacchione, politicamente scorretto, di Luca Medici, in arte Checco Zalone, finto idiota in realtà comico acutissimo e spietato, capace con il suo secondo film di replicare il successo del primo decuplicando anzi il risultato.

Dunque Checco, scorretto, volgarotto, dialettale e ruspante, cattivo quanto basta ma in fondo bravo ragazzo che sulla maschera televisiva fatta conoscere a Zelig ha costruito un percorso cinematografico semplice semplice che comunque compie una fase di crescita nell’arco di un paio di film (il primo era Cado dalle nubi) che si completa in questa seconda opera. Affermando un personaggio in qualche maniera indipendente dallo schema e dal prototipo del piccolo schermo. In Che bella giornata, diretto da Gennaro Nunziante, Checco è ancora una volta ragazzo del sud proiettato al Nord, a Milano dove, da carabiniere mancato, viene messo a fare la “security” al duomo di Milano. La spunto comico sta tutto qui, e basta e avanza per mettere Checco al centro di tutte le gag che un classico come questo offre: il rapporto-scontro tra Nord e Sud, l’italiano raccomandato e senza qualità che sfonda tutte le porte nonostante un’ignoranza abissale, persino un po’ di attualità e di questione sociale, attraverso il confronto con lo straniero e con culture differenti. Zalone e Nunziante riflettono tutto dentro l’improbabile espressione del protagonista e mettono lo spettatore nella condizione di quel tale che si domandava «vediamo questo stupido dove vuole arrivare…». Ma in realtà è Checco che ride dei nostri difetti, li mette a nudo e si prende una bella rivincita, menando fendenti che altrimenti gli costerebbero carissimo. Si infila una maschera da idiota e fingendosi tale, ma in realtà vedendoci benissimo, fa della comicità vera e graffiante, anche acuta quando va bene.

A inizio anni Ottanta c’era una gag televisiva dell’inarrivabile Massimo Troisi in cui l’attore si interrogava sulla crisi del cinema italiano, attribuendola forse all’avvento delle televisioni private. Ecco oggi, a sorpresa, sul serio sta accadendo l’esatto contrario, con i film italiani che, da Benvenuti al Sud allo stesso Checco Zalone, passando per il Cetto di Albanese, mai avevano raccolto in sala così tanto in una sola stagione. Forse il segno di un’inversione di tendenza, forse il sintomo di una prima fuga da tanta brutta televisione, con personaggi che lì sono nati e che da lì scappano in cerca di una dimensione diversa. Chissà forse un piccolo segno di ribellione. E di rinascita.

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