Cenerentola, favola “moderna” e senza tempo

C’era una volta… La casa al limite del bosco, il regno e un principe. C’era e ci sono il ballo, la fata madrina, la zucca trasformata in carrozza. E soprattutto c’è Cinder(Ella), che sogna il mondo «come potrebbe essere» ma sa fare i conti con quello che è. Sessantacinque anni dopo Disney sfida le ire progressiste e ripresenta la sua eroina classica, affidandola alle mani di Kenneth Branagh, regista passato da Shakespeare a Mozart e ingaggiato per rendere ancora attuale la favola dell’orfanella Cenerentola, ridotta a serva in casa propria e fuggita dal ballo con le scarpette di cristallo.

Dunque ai margini del bosco c’è la casa della sfortunata ragazza rimasta senza né madre né padre, affidata alle “cure” della matrigna che la tiene chiusa in soffitta per portare a palazzo le sue due figlie bruttarelle e senza cervello nella speranza di vederle maritate.

È un lavoro sotterraneo di grande sartoria quello compiuto dall’autore di Belfast che rispettando tanto i Grimm quanto il “cartone” restituisce una versione credibile della storia, lavorando di cesello sui personaggi.

Se in origine in Cenerentola esisteva un universo femminile “dipendente” in tutto e per tutto da quello maschile, in questa versione c’è un’evoluzione che, sempre nei limiti della favola, coinvolge quasi tutti gli elementi.

Resta tutta l’iconografia classica ma ci sono anche le sfumature che arricchiscono le singole storie e danno profondità al racconto. Ci sono lucertole e oche trasformati in cocchieri, per rispettare le regole antropomorfe della casa, ma nella versione di Branagh più potenti risuonano i tormenti “moderni” di Lady Tremaine, infelice e perfida matrigna con il volto di Cate Blanchett che ha imparato che «l’amore si paga», come la felicità.

Ella è una giovane sognatrice, tanto buona quanto determinata, spinta da valori precisi: gentilezza e coraggio sono le “armi” con cui poter affrontare il mondo. Un regno che «per quanto felice può essere toccato dal dolore» e deve essere affrontato con le giuste cautele. Non è ingenua e sa confrontarsi con il prossimo, anche con il principe sin dal primo incontro nel bosco: il testo suggerito in sceneggiatura appare chiaro e non lascia dubbi sullo spirito di Cenerentola, “eroina” moderna con una corazza resistente nascosta sotto l’abito leggero di seta. Ella non aspetta il principe, magari lo sogna, ma va anche a cercarlo. Branagh attualizza gli elementi che già erano presenti nel testo, costruendo dentro la favola un “castello” solido di scrittura. Che fa guardare con occhi adulti anche il giardino segreto.

Poi ci sono la bellezza pittorica regalata alle immagini, la cura nei costumi di sartoria, il gusto nelle inquadrature e, in particolare, un paio di sequenze di grande bellezza, come la scena del ballo in cui la computer grafica è lasciata da parte per una ricostruzione degli ambienti davvero “da favola”. Se è vero che il regista poteva avere maggiore coraggio nel dare una sua impronta personale è altrettanto evidente lo sforzo fatto per rispettare l’iconografia classica e i contenuti della storia, ripresentati sotto la firma Disney. Resta chiaro il messaggio di Cenerentola, ragazza senza poteri soprannaturali che aspira a un mondo «come potrebbe essere».

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