Cartoline da Roma

di uno stanco Allen

C’era un tempo in cui Woody Allen non usciva da New York, non si allontanava che per pochi isolati dal Central Park, dai grattacieli di Manhattan che si incendiavano dietro il suo obiettivo. Un tempo magico in cui la città e il suo cantore battevano lo stesso identico ritmo.

E’ arrivato poi per il regista il momento delle trasferte in Europa, a Londra innanzitutto, che è sembrata presto una “seconda patria” in grado di riflettere degnamente i tic, le nevrosi e le storie che il regista si era portato appresso. Poi ancora Barcellona e Parigi, con alterne fortune. E adesso Roma (mentre non ci sarà un’altra tappa europea a Copenhagen come era stato in un primo momento ventilato): tanto meglio, Allen tornerà in patria dopo il suo “grand tour” che proprio a Roma si è chiuso con la tappa più scialba della serie.

Gregory Peck e Audrey Hepburn, Fellini e Lo sceicco bianco. E tutto un ripetersi di Volare, Arrivederci Roma, Leoncavallo, Puccini ad accompagnare una carrellata di luoghi comuni, sogni infranti, malinconie non espresse: To Rome with love è proprio così, lo sguardo di un regista su un mondo che non c’è più ma che ostinatamente sembra voler far rivivere, nelle strade della Città eterna, tra il Colosseo e Villa Borghese, tra le turiste in cerca dell’innamorato italiano e il gesticolare della gente su uno sfondo da cartolina. Lo stesso davanti al quale si intrecciano le storie dei quattro episodi che procedono paralleli nel film: in ordine sparso c’è una giovane coppia di sposi che arriva da Pordenone e presto si “perde” per le strade e le piazze, tra i sogni e le lusinghe di un cinema d’altri tempi, e ci sono Hayley e Michelangelo, lei la turista che si innamora del giovane avvocato, dopo avergli chiesto un’indicazione all’angolo di una via… C’è Leopoldo Pisanello, svegliatosi un giorno misteriosamente famoso e attorniato dai fotografi e dalla curiosità della gente e Jack e Sally studenti in trasferta che a Trastevere incontrano il “fantasma” di John che attraverso loro rivive la sua giovinezza.

Woody Allen rifà se stesso all’infinito, si interroga (ancora) sui sentimenti e sulla stupidità della fama effimera, riduce ormai le storie che racconta all’osso e mette sullo schermo i suoi gusti, le passioni cinefile per i maestri, che dovrebbero riemergere qui come fantasmi dalle rovine del Foro. La sua Città eterna è filmata come in un lungo e languido spot dell’ufficio del turismo che dovrebbe rendere gratitudine (eterna, questa sì) al regista “americano in vacanza”. Un po’ come la nutritissima pattuglia di attori italiani che da oggi potranno aggiungere al curriculum un titoto diretto dal regista americano. Peccato che tutto suoni finto come il toscanaccio Benigni che cerca di ammorbidire l’accento, per risultare un po’ più credibile tra piazza di Spagna e le terme di Caracolla.

Woody Allen non ha certo disimparato cos’è il cinema, cos’è la commedia, e anche qui replica e cuce situazioni che almeno hanno il pregio di allontanarsi dalla volgarità media di tanti altri prodotti partoriti dai suoi colleghi. Certo è però che risultano evidenti i segni di stanchezza nel suo cinema, soprattutto perché lui continua ostinatamente a voler sfornare praticamente un film all’anno. A salvarsi alla fine in questo To Rome with love è proprio solo la protagonista, Roma, che è impossibile far diventare brutta. Nessuno però dica a Woody Allen che la sua cartolina risale agli anni Cinquanta e che, purtroppo, oggi la Capitale non è più così sfolgorante e ammantata di sogno.

PRIMA VISIONE C’era un tempo in cui Woody Allen non usciva da New York, non si allontanava che per pochi isolati dal Central Park, dai grattacieli di Manhattan che si incendiavano dietro il suo obiettivo. Un tempo magico in cui la città e il suo cantore battevano lo stesso identico ritmo. E’ arrivato poi per il regista il momento delle trasferte in Europa

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