“Carnage”, una lezione d’autore

L’arrivo di John C. Reilly (Foto Pietro Razzini)

Lezione d’autore alla Mostra del cinema: quattro attori chiusi in un una stanza, a dialogare tra loro come musicisti in un’orchestra diretta da Muti, a passarsi la palla come calciatori nel centrocampo della squadra più forte del mondo guidata da un allenatore campione. Il palcoscenico è quello del festival di Venezia, lo spettacolo invece è offerto dal “team” diretto da Roman Polanski, regista di “Carnage”, presentato ieri in concorso e destinato a mettere in imbarazzo i giurati della 68esima edizione che dovranno decidere alla fine chi e come premiare tra interpreti e regista di questo straordinario film. Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz e John C. Reilly sono i protagonisti di questo film, tratto da un testo teatrale di Yasmina Reza (“Le Dieu du carnage”), che insegna come sia possibile fare un’opera importante, destinata a rimanere a lungo nella memoria, con pochi mezzi che non siano quelli dati dal talento. I quattro, li conosciamo a stento per nome, sono due coppie, genitori di altrettanti ragazzini che a scuola si sono picchiati dopo una rissa finita male, arrivati ad incontrarsi nell’appartamento elegante e borghese di una delle famiglie (quella del ragazzo che ha avuto la peggio e due denti rotti) per “ricomporre” la cosa senza che questa degeneri oltre, tra assicurazioni e cause legali. Il tono iniziale è disteso ma subito artefatto, fintamente riconciliante, costruito, come la stanza che ospita i quattro, “allestita” come un set teatrale in cui dovrà andare in scena la riconciliazione. Scopriremo che persino gli abiti, i vestiti sono stati scelti dal marito o dalla moglie per “apparire” normale, rassicurante. Tutto accade in un crescendo lento ma inesorabile, il tono cambia, il volume delle parole, il loro senso. I quattro genitori piano piano calano la maschera e si rivelano: scoprono le rispettive debolezze, gli odi, i rancori, le inconfessabili meschinità.Ben presto le due coppie si trasformano, diventano altro. Sono Paesi in lotta,

Fan assiepati per vedere le star del cinema

razze diverse, fede, appartenenze, politica e ceti sociali contrapposti, sono qualsiasi cosa sul nostro pianeta sia “diverso”, lontano, differente. La facciata borghese lascia spazio a istinti primordiali, a conflitti mai sopiti, a lotte tra mariti e mogli, tra padri e figli, vicini di casa e di confine. Il “politicamente corretto” viene abolito all’istante, in un crescendo di tensione straordinario, orchestrato da Polanski con sapienza matematica. Nel film ogni famiglia è un mondo a sé, con regole e ipocrisie e abitudini consolidate, quanto i segreti che nasconde, e il ritmo sale per mostrare quanto tutto questo a un certo punto sia destinato ad esplodere. Mettendo figli e genitori sullo stesso piano, anzi portando gli adulti assai più in là nello scontro, assolutamente più spietato e violento, nonostante non ci siano denti rotti o spargimento di sangue. Non si salva nessuno dallo sguardo beffardo di Polanski, cinico e “bounueliano” che osserva e racconta e mette in discussione l’impianto stesso della società occidentale, su cui arrivano ad accapigliarsi i quattro protagonisti a un certo punto. Loro, poi, gli attori, sono un autentico valore aggiunto al testo, già bellissimo di suo. Ma quello che colpisce di più in questo film è il ritmo, il non mettere mai, ma proprio mai, una cosa nel posto sbagliato, un’inquadratura, un dialogo, neppure i titoli di testa. Polanski davvero regala un saggio di regia e di scrittura come se ne vedono di rado, concentrando un universo intero in un “interno di famiglia” che, tra quattro mura, racconta il mondo.

SPECIALE VENEZIA - Lezione d’autore alla Mostra del cinema: quattro attori chiusi in un una stanza, a dialogare tra loro come musicisti in un’orchestra diretta da Muti...

© RIPRODUZIONE RISERVATA