Calabresi “riscrive” il coraggio nel futuro

«La vita è una maratona, non sono i cento metri. Conviene sempre avere coraggio e provare a guardare lontano». Perché, spiega Mario Calabresi, direttore de «La Stampa» ospite ieri pomeriggio degli incontri “popolari” all’auditorium Bpl di Lodi, «i conti non si fanno subito». E in un mondo miope, che ha la vista corta e appiattita sulla cronaca del presente, si può imparare «il senso del tempo che contempla passato e futuro: perché se non vedi il passato, non riesci a immaginare il futuro». È un appello appassionato, capace di scuotere dentro, quello del direttore-scrittore, in un dialogo dai tratti divertenti e leggeri con il campione di incassi in libreria Alessandro D’Avenia, davanti alla platea affollatissima dell’auditorium Tiziano Zalli. «Tra l’altro non so neanche perché sono qui - dice scherzando il più giovane, che è anche professore di liceo, cercando di infilare qualche domanda nell’eloquio fluente di Calabresi - : fa tutto da solo». «Ti porto perché così mi riempi la platea di giovani - gli fa eco il direttore de «La Stampa» - : all’ultima presentazione avevo Massimo Gramellini e in sala c’erano almeno cinquecento signore settantenni. Io e Gramellini siamo sempre stati quelli che piacevano alle mamme». Tra una risata e l’altra, però, ci sono i temi forti della domanda di futuro di giovani sempre più schiacciati da timori, paure e da genitori che non li spingono più a volare, ma che tendono a tenerli con sé, per tutelarli. «Si è rotto il meccanismo che per tutto il Novecento ha portato i genitori a ritenere che i loro figli avrebbero avuto un futuro migliore del loro» racconta ancora Calabresi, che per il suo ultimo lavoro - Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa (Mondadori, 2015) - ha scelto una storia di casa, quella della zia materna, che parla di idealismo e coraggio. La storia di una lista nozze speciale, negli anni Settanta, dove monili, elettrodomestici e argenteria sono stati sostituti con letti, strumenti chirurgici, culle per bambini. Per creare, da zero, in una regione sconosciuta dell’Africa, un ospedale. Un luogo che esiste ancora e che Calabresi ha visitato l’anno scorso, per testimoniare cosa può restare di una lista nozze, dove agli oggetti si preferiscono i progetti. «Quando ho chiesto a mia madre cosa restava della sua, mi ha risposto l’argenteria che non ci hanno rubato e il servizio da caffè che non uso mai - ha raccontato ancora l’autore -: allora ho pensato a quanto può durare invece una lista nozze in una vita che è una maratona». La chiave, secondo Calabresi, è «tapparsi le orecchi ed essere figli del proprio tempo», ricorrere i sogni e crederci, anche senza andare in Africa. Perché tra le righe della grande storia dei protagonisti, ci sono vicende più piccole, come quella del giovane figlio di un mugnaio che prova a invertire il destino del mulino di famiglia destinato alla chiusura. Combatte per avere due macine di pietra, punta sui prodotti di nicchia e mira al web, costruendo una realtà che oggi ha 12 dipendenti. «Davanti alla paura del terrorismo e a quella per la crisi, io continuo a dire che siamo stati peggio - ha aggiunto Calabresi - : abbiamo avuto le bombe sui treni e nella stazioni, abbiamo avuto la disoccupazione a doppia cifra come oggi. E le macchine si potevano usare a domeniche alterne perché non c’era benzina per tutti. Se guardi al passato, capisci che la crisi c’è già stata. E che ne siamo usciti». A patto di rinunciare al divano e ai timori, di accostarsi alla meraviglia e alla curiosità, «perchè ne vale sempre la pena e puoi fare la differenza nella vita, perché andare a curiosare è infinitamente bello e la trottola bisogna farla girare. Senza paura di sbagliare».

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