Arte e parole nel segno di “Gioânn”

Un’occasione importante per rileggere l’opera del giornalista lombardo nella sua “lodigianità” acquisita

frutto della lunga frequentazione con la nostra terra

«Pavia, Lodi e Milano fanno triangolo in pianura, sono il cuore della Lombardia». Una citazione che apre il nuovo libro di Andrea Maietti, il Gianni Brera “lodesan”: un triangolo che ha invece ingabbiato il cuore l’anima di artista di Antonio Belli, pittore ciociaro che attraverso Brera ha conosciuto e si è innamorato della Lombardia. Belli e Maietti sono stati protagonisti domenica dell’inaugurazione della mostra Gianni Brera ha vent’anni, allestita dalla Bcc del presidente Antonio Guarnieri e dell’appassionato consigliere Mario Mazzi e ospitata fino a domenica 5 maggio dalla sala consiliare di Palazzo Rho a Borghetto (orari: 9-12.30 e 15-18.30). A lanciare idealmente la mostra ha pensato Paolo Brera, figlio del più celebre giornalista sportivo italiano del Novecento e a sua volta giornalista (è critico enogastronomico): «La pittura di Belli è sicuramente molto più novecentesca che contemporanea: il suo modo di intendere l’arte è stato influenzato dal futurismo, ma ha poi preso altre strade. È un pittore che mi piace moltissimo: nelle sue opere c’è molta tecnica ma anche tanta Lombardia».

C’è una Lombardia ben esemplificata anche dalla cornice in cui è stata incastonata la presentazione (cui era presente anche il sindaco borghettino Franco Rossi), ovvero il Piccolo Museo dei Lavori Umili presente sempre all’interno di Palazzo Rho: i soggetti dei quadri esposti nella sala consiliare sottostante (26 opere della collezione “Mondo Brera”, dipinte tra il 1997 e il ‘99 e comprate prima dallo stesso Maietti e poi dalla Bcc) sono infatti soprattutto mondine, pescatori, contadini, boschi, fiumi. Come è riuscito un artista frusinate che per sbarcare il lunario esercitava il ruolo di impiegato civile del Ministero degli Interni a entrare nel “triangolo” Pavia-Lodi-Milano e a raccontarne in modo così intenso la realtà rurale del nostro passato? Galeotto fu “L’Arcimatto”, ovvero la “stanza dei pensieri” che Brera teneva sul «Guerin Sportivo» negli Anni Sessanta e Settanta.

«Lessi il primo “Arcimatto” a 25 anni, nel 1962, e subito rimasi colpito dalla cultura del giornalista e dal suo modo di intendere la scrittura: quando conobbi Gianni Brera, in occasione dell’arrivo del Giro d’Italia 1968 a Roma, restammo a parlare fino alle cinque del mattino sotto il portico d’Ottavia».

Al portico d’Ottavia è anche il nome del dipinto cui Belli è più legato, forse per un pizzico di nostalgia. A temi quali nostalgia e sentimento dell’addio è sicuramente legato anche lo stesso Gianni Brera.

Il suo biografo ufficiale Maietti ha citato un “Arcimatto” del 1963, quando Brera aveva solo 44 anni: «Preferisco disfarmi qui a poco a poco come una pannocchia in una pozzanghera. La pannocchia si strugge miseramente, ma intorno a lei vivono infiniti esseri che del suo disfacimento si giovano».

«Qui», cioè nel Pavese (dove nacque, a San Zenone al Po) e nel Lodigiano (dove è scomparso in un incidente stradale nel ‘92): terre che grazie a Brera si sono trasformate in olio su tela, firmate da un artista nato in un contesto ben diverso da quello lombardo.

Cesare Rizzi

© RIPRODUZIONE RISERVATA