«È un giorno bellissimo» canta Francesco Renga. E per Luca Visigalli, musicista residente a Fombio ma di fatto nomade per seguire la grande passione per la musica, è certamente un giorno bellissimo ogniqualvolta può salire su un palco e abbandonarsi alla magia del suo strumento, il basso elettrico.
Proprio con Renga, Visigalli sta affrontando la sua ennesima avventura professionale: le prime sedici date di un tour che da Brescia (tre concerti) ha toccato Milano (il 20 marzo agli Arcimboldi) per poi proseguire verso Bologna, Roma, Montecatini, Genova, Napoli, Catania, Palermo, Nova Gorica, Padova, Lugano, Torino e Bergamo. A seguire, una fase estiva ancora tutta da programmare, «in location ovviamente differenti, come i teatri all’aperto, sempre giocando sulla contemporanea presenza sul palco di band e orchestra - spiega Visigalli -. Del resto, questo tour di Renga arriva in un periodo in cui si sommano le sue esperienze del passato (compreso il rock dei Timoria o il pop dell’album Camere con vista), quella del nuovo album e quella sinfonica di Orchestra e voce».
Non è la prima volta che il percorso del musicista fombiese si incrocia con quello di Francesco Renga: «Il primo incontro avvenne alla fine del 2007, quando fui chiamato a collaborare col produttore Corrado Rustici in occasione del concerto al Forum di Assago per l’anteprima del tour Ferro e cartone». Poi, altre date in giro per l’Italia con il cantautore originario di Udine e bresciano d’adozione. Ma anche lavori con tanti altri nomi noti del panorama musicale, non solo italiano: Franco Battiato, Patty Pravo, Gianluca Grignani, Riccardo Cocciante, per citarne alcuni. Ma Visigalli è stato reclutato anche per l’unica data italiana di Donna Summer, quando nel 2005 è venuta a celebrare i primi vent’anni di attività di Dolce e Gabbana. «Quella - racconta - è stata un’esperienza molto bella. Non solo per il livello dell’artista, ma anche perché ti dovevi confrontare con un arrangiatore americano di estrazione jazzistica, abituato a collaborare coi più noti strumentisti del panorama musicale mondiale». Visigalli ha affiancato per nove anni anche un altro mostro sacro della scena statunitense, Gloria Gaynor: «Facevo parte della band italiana, che insieme a quella tedesca, quella inglese e a quella americana si occupava di seguire la Gaynor nelle diverse aree del mondo in cui era impegnata».
Ma di nomi noti nel curriculum di Visigalli ne figurano anche altri: una collezione di incontri ed esperienze professionali che stride con la sua giovane età (Luca è nato nel 1976), ma che dà l’esatta misura della sua passione e dell’impegno per perseguirla. Dicevamo di lui che è originario di Fombio, dove ha sempre vissuto e dove è tornato ad abitare dopo una parentesi di 4 anni a Lecco; ha tre fratelli più grandi (uno è avvocato, gli altri due gestiscono una società che opera nel settore degli impianti audiovisivi) e un amore per le note che parte da lontano.
«Ho cominciato come tanti studiando il pianoforte da piccolo. La musica mi è sempre piaciuta e non sono mai stato ostacolato dai miei in questa passione, sebbene credo avessero altri progetti sul mio futuro. Mi sono iscritto al Conservatorio e in quel momento ho scelto uno strumento che non ho mai particolarmente amato, il violino: cinque anni di sofferenza!”. Quindi, un basso in regalo per completare l’organico della band di famiglia, ma anche il tentativo di una carriera diversa con l’iscrizione alla facoltà di giurisprudenza. «Io, però, volevo suonare, e sempre grazie ai miei genitori ho avuto un’altra opportunità. Mi sono riscritto al Conservatorio, stavolta con l’idea di studiare composizione. Se potessi tornare indietro e ricominciare da capo è proprio quello che vorrei fare, composizione e direzione d’orchestra. Ma dopo appena pochi mesi, grazie al mio insegnante di basso, Dino D’Autorio (Zero, Celentano, ecc...), ho avuto l’opportunità di cominciare a suonare in Grease (con Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia, ndr). Avevo 19 anni e dal “nulla” (avevo alle spalle solo qualche serata nei locali della zona) mi ritrovai sul palco a suonare con alcuni dei miei musicisti di riferimento, quelli che leggevo nei crediti dei maggiori album italiani, senza alcuna prova... Non so cosa mi abbia spinto ad accettare l’ingaggio, forse il coraggio, forse l’incoscienza! E da lì, col passaparola, è partito tutto il film». All’epoca i musical si producevano ancora con le orchestre dal vivo e per il bassista di Fombio, alla storia portata sul grande schermo da John Travolta, è seguito poi nel tempo il musical Fame - Saranno famosi (circa 200 repliche in tutta Italia). Concerti, produzioni discografiche, musical e tv: Luca Visigalli ha vissuto ogni aspetto del lavoro di musicista. «Credo di appartenere a una delle ultime generazioni cui è stato concesso di fare un po’ di tutto, di imparare tante cose diverse. Ora non sarebbe più possibile. I musical si fanno con le basi, i dischi si registrano in casa e in televisione c’è sempre meno spazio per organici numerosi». Con il piccolo schermo ha un rapporto che parte da Passaparola (tre edizioni, anche come collaboratore agli arrangiamenti), Meteore e 30 ore per la vita e arriva ad Amici passando per Ti lascio una canzone con Antonella Clerici. «L’ho fatto quando ancora si realizzava a Sanremo (2009, ndr), prima del trasloco a Napoli. All’Ariston per il Festival non ci sono invece andato mai, per un motivo o per l’altro - ricorda Visigalli -. Quel programma ha rappresentato un’esperienza particolare: il lavoro era davvero impegnativo, si dovevano preparare anche due puntate a settimana e ognuna con 40 brani diversi, e nei giorni liberi si provava il concerto di Cocciante che avremmo avuto di lì a poco a Verona. La parte ritmica della band era praticamente la stessa, diretta dal maestro Leonardo De Amicis. Ti lascio una canzone quell’anno ha avuto un successo oltre ogni previsione. Io ci arrivavo dopo un periodo di crisi personale e lavorativa e sono stato coinvolto grazie alla stima ed all’amicizia di una persona che è tra i migliori musicisti italiani: il chitarrista Giorgio Secco (Ramazzotti, Mina, Pausini, ecc...). È un ricordo molto bello. Tra tutti si era creato davvero un ottimo rapporto umano e professionale».
La tv ha dato a Visigalli l’opportunità di confrontarsi con artisti del calibro di Renato Zero, Fiorella Mannoia, Anna Oxa, Lucio Dalla, ma ciò non gli impedisce di usare toni severi sul rapporto tra il piccolo schermo e la musica: «Non credo sia quello televisivo il miglior contesto in cui far crescere la musica italiana. Un buon disco va soprattutto ascoltato, non visto. E invece in tv si confezionano personaggi “a consumo”, manca un vero progetto dietro i nuovi artisti che arrivano da lì. I discografici ti mettono a disposizione grandi mezzi per quel che riguarda la visibilità, ma non ci sono autori che scrivono apposta per te, che si confrontano con il cantante, che gli disegnano addosso dei pezzi. Il ragazzo si trova abbagliato da tanto successo ma poi perde di vista il progetto, e nel tempo rischia di non durare».
È il limite dei talent show, spiega, cui comunque Visigalli è stato chiamato a collaborare accanto a un volto noto come il maestro Peppe Vessicchio (che lo ha anche diretto in un Concerto di Natale in piazza Duomo a Milano, con Elisa, Enrico Ruggeri, Biagio Antonacci e Massimo Ranieri): Luca è stato nell’orchestra del serale di Amici e ha collaborato ai dischi di quasi tutti i ragazzi usciti dal programma di Maria De Filippi («Senza essere quasi mai citato nei crediti» precisa), compreso quello che poi ha vinto il Festival 2010, Per tutte le volte che cantato da Valerio Scanu, il singolo Calore di Emma Marrone, Una canzone pop di Pierdavide Carone. «Ne parlo con la consapevolezza di un pensiero libero, senza essere condizionato dal cosiddetto music business: lo spettacolo televisivo ha finito con l’assumere un aspetto troppo preponderante rispetto a qualsiasi progetto musicale serio, che invece nasce su un palcoscenico». Visigalli ha anche seguito il tour dello scorso anno di Marco Carta, altro vincitore sanremese uscito dalla scuderia di Amici.
Ma in quel caso, più che il lato “artistico” della situazione, lo ha attratto la sfida di un ruolo già ricoperto altre volte in passato, ma finalmente reso ufficiale, quello di direttore musicale: «Un impegno a tutto campo, dal predisporre la scaletta agli arrangiamenti, dal mettere insieme la band al dare una veste sonora allo spettacolo; impegno ancor più gravoso se da parte dell’artista non c’è troppa costanza». Sempre lui in passato aveva riunito anche la band del tour di Gianluca Grignani Il re del niente: «Se ci ripenso, è stata un’esperienza davvero bella, anche se a tratti “surreale”. Avevo chiamato persone che oltre ad essere grandi musicisti erano anche amici fidati e si è creato un clima goliardico tra tutto lo staff, indispensabile per fronteggiare le bizzarrie dell’artista». Quello che invece non piace a Visigalli è il pressapochismo e la mancanza di entusiasmo: «Anche gli impegni minori vanno sempre presi con lo spirito giusto ed un impegno professionale adeguato. Non mi piace quando non c’è rispetto nei confronti della musica e del lavoro. Io, poi, in ogni situazione cerco sempre di ricavarmi un mio spazio di creatività, devo metterci del mio, anche se ci sono strutture rigide da rispettare. Sorrido quando si parla di arte riferita al nostro ambito. L’arte è sicuramente altro, il nostro è più “mercato dell’intrattenimento”; scherzando dico sempre che suonare è meglio che lavorare! Ma questo non significa che non si debba essere seri e rigorosi in quello che si fa; e non significa che l’intrattenimento sia una perdita di tempo o non abbia un ruolo importante nella società; mi piacerebbe proprio dirlo ai nostri politici!». Ed è proprio forse questa serietà a mancare in chi si ritrova già arrivato prima ancora di cominciare. Luca Visigalli è abituato a un’altra scuola: «Se penso che uno come Cocciante, un autore e musicista straordinario, che potrebbe permettersi di fare quello che vuole, passa ore e ore sul palco a provare, a curare ogni aspetto dello spettacolo e ci sono invece persone che vendono due dischi in croce e non si presentano neppure alle prove di un concerto... Con Cocciante ho fatto un concerto all’Arena di Verona con l’orchestra sinfonica, ripreso dalla RAI ed uno a Malta, in compagnia del tenore Joseph Calleja e della cantante statunitense Dionne Warwick. È stata una bellissima esperienza, anche se sul palco non hai mai la stessa percezione del pubblico, non vivi le cose allo stesso modo. Chi guarda e ascolta percepisce il risultato corale, ma non sa che magari tu, singolo musicista, in quel momento stai pensando ad altro, a un problema o a sistemare qualcosa che non funziona, non necessariamente inerente allo spettacolo».Si è rivelato una piacevole sorpresa anche l’incontro con un altro grande autore italiano, Franco Micalizzi, che ha firmato le colonne sonore dei polizieschi anni Settanta (Roma a mano armata, Napoli violenta, La banda del gobbo, ecc) e di un grande classico come Lo chiamavano Trinità: «L’ho seguito in una serie di concerti con una formazione di ottimi musicisti, compreso il figlio, il batterista Cristiano Micalizzi, e il pubblico non è mai mancato. Anzi. Non pensavo che per concerti solo strumentali potesse esserci un così grande seguito».
Ma Luca Visigalli scriverà mai qualcosa direttamente? «Mi riprometto sempre di farlo, l’aspetto della scrittura musicale mi affascina, ma sono autocritico al massimo, non so se ce la farò. I miei riferimenti sono inarrivabili!». Anche se le sfide non lo spaventano. Come quella di sostituire un collega all’ultimo momento in una trasmissione tv; o di salire sul palco con Battiato senza aver potuto provare, leggendo le partiture a prima vista: «Beh, i sofferti studi classici - scherza - saranno pur serviti a qualcosa!».
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