Almodovar: dialogo tra madri, tra colpa e assenza

Una lunga lettera, che ha un destinatario ma non un indirizzo a cui esser spedita. «Mia cara Antia ti voglio raccontare…». È su questo dialogo - a distanza - tra madre e figlia che Pedro Almodovar costruisce Julieta, il suo nuovo film che, dopo il passaggio in concorso al festival di Cannes, arriva ora nei cinema italiani. Un film sul tempo e sulla memoria. Sulla colpa e sul perdono. Ispirato a tre racconti scritti da Alice Munro, trasportati dal Canada alla Spagna, condensati e “riscritti” dal regista spagnolo che su quel testo innesta molti dei tratti distintivi del suo cinema.

Julieta, che scrive, ha cinquant’anni e decide di raccontare la sua storia alla figlia che se n’è andata via di casa tredici anni prima, facendo perdere ogni traccia. Dopo una lunga e vana attesa, scoperto per caso che la figlia è diventata madre a sua volta, Julieta pensa che sia arrivato il momento di spiegare, di comprendere - se non di perdonare… -: il momento di capire cosa abbia significato il vuoto che lei ha provato in tutto questo tempo di assenza (che «riempie totalmente la mia vita e la distrugge», scrive).

Un dialogo tra donne, madre e figlia dunque, ma più ancora tra due madri: è in qualche maniera un film della maturità per Almodovar che arrivato a una svolta del suo percorso filma con meno irruenza, con una passione differente, ma conservando intatte tutte o quasi le caratteristiche distintive del suo fare cinema. Il melò allora, e i colori: un vestito rosso, e poi un’automobile, una parete, lo smalto sulle unghie, un punto di rosso praticamente in ogni inquadratura; e ancora l’universo femminile naturalmente, le parole e gli sguardi tra madri… Le musiche, una canzone finale che ne riassume molte.

In qualche maniera anche il regista, come Julieta, ricostruisce la sua vita come un puzzle, unendo le parti di una fotografia che era stata strappata. E lo fa attraverso un film che procede come un giallo, come un thriller dell’anima, che piano unisce un pezzetto alla volta per arrivare al cuore della storia.

«Mia cara Antia ti voglio raccontare…»: ecco Julieta che a lezione parla di Ulisse e del “mare ospitale” (Pontos) che lo accoglie, mare che si trasforma poi in altro, nel blu che si scorge da una finestra incantata quando la vita sembra approdare in un porto sicuro, e quindi in tempesta, verso la tragedia. Altre fasi, altri pezzi della vita di Julieta che ne ha vissute tante, in un’unica ancor giovane esistenza. Dietro a tutto, nascosta, sta però la colpa, un sentimento che non si cancella e che accomuna entrambe, madre e figlia, e altri personaggi ancora.

Almodovar non è appagato, non è riconciliato, ma in qualche modo fa un bilancio. Svela piano il destino delle sue protagoniste accompagnandole per mano, tornando con loro e con gli spettatori in vecchie case conosciute, in corridoi con la carta da parati e un arredo che conserva la memoria. Filma le bravissime interpreti e un cast che - pure lui - riunisce presenze importanti e visi “familiari” (a cominciare da quello di Rossy de Palma). Per ricordare prima di iniziare un nuovo cammino, ancora ignoto. E, prima della partenza, cerca di riappacificarsi.

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