Allo Spazio Bipielle una mostra antologica su Ugo Maffi

A quattro anni dalla morte di Ugo Maffi, la sua pittura continua ad accendere interesse e curiosità, a far parlare di sé per la forza immaginativa, irrequieta e la carica romantica. Tra i motivi d’interesse della retrospettiva “Ugo Maffi - Dal 1959 al 2012“, che verrà inaugurata il 3 aprile alle 17.30 allo Spazio Arte Bipielle di Lodi per poi proseguire dal 5 al 25 dello stesso mese, ci sono senz’altro aspetti particolari in grado di arricchire precedenti analisi e punti di vista. Curata dalla vedova Assunta Saccomanno e dal critico d’arte e amico del pittore Tino Gipponi, da sempre impegnati a evitare che finiscano dispersi i piccoli e i grandi sussulti d’arte appartenuti all’artista, la mostra in programma in via Polenghi Lombardo aggiungerà al coinvolgimento emotivo qualcosa in fatto di interpretazione anche in relazione alla “fisicità” del processo creativo. Tecnicamente identificabili attraverso oli e acquerelli, le opere espliciteranno non solo la poetica dell’artista lodigiano, ma quanto metodi e materiali significativamente adottati possono aver conferito qualità e diversità, oltre il percorso del puro mestiere e della narrazione.

Anticonformista, Ugo Maffi è stato un pittore di temperamento e “macina” mentale, non di troppi artifici, ma da apparire a volte (e solo quando lasciava in sospeso penetrazioni, atmosfere e visioni per dare campo alle acquisizioni della pratica e del mestiere) pure spavaldo. I materiali in mostra aiuteranno senz’altro a far risaltare l’interesse del pittore per quella pluralità di elementi fisici che, tradotti con qualità attendibile, davano una mano a nascondere, affrettamenti e condiscendenze.

Negli ultimi anni Maffi si compiaceva nel largheggiare in allegorie visionarie, così come negli anni Sessanta e Settanta narrava il mondo concreto e vero, fatto di memorie, umanità, legami alla terra e tradizioni.

Paesaggi, animali, contadini, partigiani, girasoli, pescatori, vedove, guerrieri, madri, barche, acque, ritratti, mummie, gruppi sociali distribuiti per “cicli” lo sono stati anche per “fattura materica”, confezionata con l’esigenza di rifiutare la forma accademica (il figurativismo stretto) e di consegnarsi all’ espressione immediata. In Ugo Maffi, la mano può risultare veloce o lenta indifferentemente, mossa dal pensiero o da una visione o sotto impulso di fantasie poetiche. Ciò ha distinto spesso il giudizio sulla “qualità”, trascurando la questione del materiale, delle particolarità naturalistiche della materia e del passaggio da questa a quella della tecnica e del linguaggio.

A un certo punto Ugo Maffi introdusse in pittura lamelle d’oro, poi gesso, poi sabbia, poi si mise a distendere mastice e colla, sabbia di grane e dopo il colore. C’è stato un periodo nel quale usava la sabbia dell’Adda come pigmento. Incorporava la tinta e dava risalto a zone del quadro o a segni istintivi. La stessa procedura faceva con le bende del ciclo “mummie” e “guerrieri” , sulle quali agiva successivamente con il pennello per armonizzarle alla narrazione. Pensava, immaginava e operava nei limiti di questa materia.

Pittore di cavalletto? Non sempre. Ultimamente si lasciava tentare dal “plein air” da cui era partito giovanissimo. Oppure si dedicava a tele di grandi dimensioni, che lavorava per terra. Le sperimentazioni non gli hanno mai consigliato di lasciare del tutto la figura. Lavorava la tela come un disegno o come un legno, cioè spontaneamente, senza la propedeutica di schizzi o bozzetti. Non che gli fossero estranei, ma più come identificazione ossessiva con la dimensione esistenziale anche se effimera. «La superficie da animare e la prima impronta di colore è l’avventura che ne risulta», insegnava ai ragazzi della Comunità degli italiani di Torre Abrega nell’ Istria croata.

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