Addio a David Bowie,il marziano del rock

E se avesse indossato una tuta da “starman” e fosse volato via, nello spazio, a bordo di un’astronave? In fondo non sarebbe poi così strano per uno come lui, così marziano, così futurista. Ieri notte è morto l’artista britannico David Bowie, l’annuncio è stato pubblicato al mattino sulla sua pagina Facebook, la famiglia ha spiegato che il musicista è morto «in pace», dopo una coraggiosa lotta durata 18 mesi contro il cancro. Una notizia, quella della malattia, che il Duca Bianco era riuscito a tenere lontana dai riflettori e che ha colto inaspettatamente tutti i suoi fan. «Molti di voi condivideranno questa perdita, vi chiediamo di rispettare la privacy della famiglia in questo momento di dolore» il messaggio lasciato sulla bacheca online. Una leggenda. Un artista mai uguale a se stesso, capace di inventare e reinventarsi ogni volta, fino alla fine. Solo come i geni sanno fare. Come Miles Davies per il jazz, come Picasso per la pittura.David Robert Jones era nato a Brixton, nei pressi di Londra, e aveva compiuto 69 anni l’8 gennaio. Proprio il giorno del suo compleanno è uscito il suo ultimo album Blackstar, accolto con entusiasmo dalla critica. Ancora una volta ha lasciato tutti a bocca aperta, con un mix di jazz, ricerca e ironia. Blackstar è il 25esimo album di Bowie, pubblicato dopo tre anni di silenzio. Aveva annunciato che non si sarebbe più esibito “live” e la sua ultima apparizione on stage è stata nel 2006 a New York a scopo di beneficenza.Per oltre cinquant’anni Bowie è stato protagonista della scena, non solo come cantante. È stato anche attore e produttore discografico, un’icona venerata dalla moda, sempre proiettato verso le avanguardie. In questo senso non stupisce che abbia dato alle stampe il primo cd-rom del rock e che nel 1996 abbia venduto la prima canzone in download su Internet.Prolifico, sì. Ma anche camaleontico. Provocatore, enigmatico e persino ambiguo. Glam. La sua carriera è costellata da dischi epocali che denotano profondità intellettuale, ma è anche attraversata da “travestimenti”, dalla capacità di giocare con l’immagine. È diventato Ziggy Stardust, poi Alladin Sane e per tutti è stato il Duca Bianco. Un duca arrivato persino a rifiutare di essere insignito dalla regina con il titolo di cavaliere. L’elenco degli album e dei brani che nella vita si dovrebbero ascoltare almeno una volta è impossibile da esaurire in un articolo: Space oddity, The man who sold the world (interpretata poi anche da Kurt Cobain), The rise and fall of Ziggy Stardust con cui diede vita nel 1972 al suo alter ego, quello di un extraterrestre bisessuale e androgino diventato una star del rock. Un capolavoro che riassumeva due delle sue passioni, teatro giapponese e fantascienza. E ancora Diamond dogs, ispirato a Orwell e Burroughs, Scary Monsters, la trilogia berlinese Low, Heroes, Lodger, Let’s dance...L’originalità dei progetti, il suo timbro di voce inimitabile, l’importanza dei contenuti in bilico tra surrealismo e attualità, il non adagiarsi sulla sua icona ormai “magica” ne hanno fatto il genio che davvero è stato. L’addio a David Bowie ha coinvolto tutti: colleghi, attori, politici, cardinali (Ravasi gli ha dedicato un tweet). E loro, i fan, per i quali un musicista non è mai “solo” un musicista, una canzone non è mai “solo” una canzone. Un omaggio mondiale. Ieri, nel quartiere londinese dove era nato, tanti estimatori hanno lasciato un ricordo davanti ai murales che raffigurano l’artista. Se si curiosa tra i mazzi di fiori, leggendo tra i biglietti, la parola più ripetuta è... grazie. Anche da questi dettagli si capisce che la sua è stata una rivoluzione in gradi di lasciare il segno. Adesso è proprio vero, «there’s a starman waiting in the sky».

© RIPRODUZIONE RISERVATA