Adaline e la condanna dell’eterna giovinezza

Adaline ha 29 anni. È giovane, bella e triste. Per sempre. Vittima di un complicato incidente che ne ha modificato lo sviluppo genetico non può invecchiare, anzi: è condannata all’eterna giovinezza. Condannata perché destinata a scoprire sulla propria pelle per sempre giovane quanto sia difficile non poter invecchiare, quanto costi vivere in un tempo senza tempo, senza un limite che di fatto (e paradossalmente) annulla la speranza di poter avere un futuro.

Una bella idea sta alla base di Adaline, il film che Lee Toland Krieger troppo presto trasforma in una love story piuttosto convenzionale, a discapito dei tanti spunti intravisti sul nascere. Adaline (Blake Lively) la donna che si trova a combattere contro il sogno moderno (illusorio) coltivato da tutti, o quasi: avere la possibilità di un tempo illimitato davanti, addirittura con la fortuna (?) di non cambiare mai aspetto, eternamente giovani mentre tutto intorno il mondo invecchia seguendo il ritmo naturale delle cose.

Ecco questo deve aver provato la giovane donna (che in realtà ha 106 anni) nei suoi decenni vissuti in fuga continua per non essere smascherata, vedendo la figlia imbiancarsi e fuggendo ogni relazione che avrebbe portato a una sofferenza inevitabile. Fino all’incontro con l’uomo capace di farle cambiare idea, arrestando quella fuga.

Troppo presto il regista decide di declinare il suo film in una chiave romantica, si diceva, finendo per tralasciare tutto il resto: è la mancanza d’amore a trasformare in un incubo la vita senza fine di Adaline, che pure ha visto passare davanti agli occhi decenni di storia, guerre mondiali comprese. La sceneggiatura sceglie di passare in rassegna quegli anni al tavolo di una partita di Trivial e di non andare nel profondo del tormento vissuto dalla donna, se non in poche inquadrature e in un pugno di svolte narrative. Una luce ad esempio pare accendersi quando sullo schermo compare il personaggio di Harrison Ford, eroe cinematografico per eccellenza, Ian Solo invecchiato nei panni del maturo scienziato. Ma ben presto pure questa fiammella si spegne, per cedere al fascino più immediato di Michiel Huisman, condottiero più contemporaneo che sazia la passione dei fan del Trono di Spade.

Da Bejamin Button ad Highlander (per restare ai più noti) non è nuovo per il cinema questo giocare con il tempo e con il suo incedere, che la pellicola (e oggi il digitale) può mandare avanti e indietro a piacimento. In Adaline però non diventa mai lo spunto per una riflessione accurata sul valore degli attimi, delle ore, degli anni che passano veloci o lenti che sia. Il film, seguendo la regola di Hollywood, si accontenta di stringere l’obiettivo sugli sguardi languidi e sui patimenti delle occasioni perdute, impegnato a trovare una conclusione degna per i due innamorati e lasciandosi sfuggire a sua volta più di uno spunto che avrebbe potuto cambiare il destino dell’intera vicenda e degli spettatori.

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